La città provvisoria

VS-La città provvisoriaUna spedizione spaziale si trasforma immediatamente in una catastrofe, il veicolo esplode e l’unico sopravvissuto cade su un astro simile in tutto al pianeta Terra, i cui abitanti differiscono dagli esseri umani nel linguaggio ma non nell’aspetto. L’uomo è uno scrittore, non ha competenze tecniche, ed era stato coinvolto nella missione con il ruolo di testimone, avrebbe dovuto riportare gli eventi in forma di narrazione scritta al termine del viaggio.  Viene accolto e confortato da una guida locale, Igor, che parla la sua lingua e conosce le usanze e le culture terrestri perché ha vissuto per un lungo periodo sulla Terra. In attesa di organizzare il rientro sul nostro pianeta, il narratore visita l’astro accompagnato da Igor, che lo affianca in un serie di passeggiate pedagogiche nel corso delle quali gli illustra, in tutti i dettagli, l’organizzazione politica, economica e sociale della Stella, raccontandone anche la storia passata.

È così che il protagonista scopre che lì la scienza e la tecnologia sono talmente avanzate da poter regolare il clima e anche la durata della vita, che la vecchiaia è stata eliminata perché l’invecchiamento del corpo si ferma ai cinquant’anni sebbene si possa vivere fino ai centoventi, che non esistono specchi, per non alimentare l’ego, che non ci sono mezzi di trasporto, poiché la costruzione della ruota è soggetta ad una rigida regolamentazione, che l’esistenza di macchine sofisticate consente ai conviventi, come vengono chiamati gli abitanti, di non aver più l’obbligo di lavorare per vivere. Le vite dei conviventi sono impostate su schemi rigidi e prestabiliti, tutto è già deciso, dall’abbigliamento al modo di impostare i rapporti affettivi e familiari, creando un effetto di libertà e di benessere collettivo che di fatto è solo apparente, ma che nella realtà soffoca l’individualità e la libera espressione di se stessi e dei propri sentimenti.

Il narratore e la guida si confrontano, quindi, in una serie di discussioni sulle usanze e sulle legislazioni reciproche, nel corso delle quali il primo cerca di difendere in modo ragionato la società a cui appartiene dalle critiche mosse dal secondo, e questi impegnativi raffronti verbali lo porteranno, seppure involontariamente, a riflettere sul mondo in cui vive e su ciò che si potrebbe migliorare nel nostro sistema sociale.

Autore di questo romanzo molto particolare è Franco Vegliani, giornalista, saggista e romanziere triestino nato nel 1915 e morto nell’ ‘82, il cui romanzo più noto è La frontiera, pubblicato nel 1964, da cui il regista Franco Giraldi trasse un film nel 1996. Narratore di grande sensibilità, è stato definito dal saggista Maurizio Serra “un grande scrittore superiore alla sua reputazione entro il quadro decadente dell’Europa”, ed effettivamente i suoi romanzi non ebbero, quando era ancora in vita, l’apprezzamento che avrebbero meritato.

La lettura e l’interpretazione di questo testo non possono essere scissi dal periodo storico in cui fu scritto, già dall’inizio del Novecento, infatti, l’Utopia, intesa come descrizione del miglior mondo possibile, aveva lasciato il posto all’ anti-utopia, ovvero al peggior tipo di assetto sociale che lo scrittore riesce ad immaginare, producendo nei Paesi di cultura anglosassone capolavori come 1984 di Orwell, Il mondo nuovo di Huxley e Fahrenheit 451 di Bradbury.

La città provvisoria è stato scritto agli inizi degli anni Settanta, quando in Italia comparvero i primi romanzi dedicati al tema apocalittico, come Il mondo nudo, 1975, scritto da Raffaele Crovi, o Il superstite, scritto da Carlo Cassola nel 1978, insieme a romanzi di genere distopico, come Lo smeraldo, scritto da Mario Soldati nel 1975, in coincidenza quindi con uno dei periodi più travagliati della storia moderna italiana; la scelta del tema nasce dalle preoccupazioni legate alle conquiste tecnologiche, come il lancio dei satelliti nello spazio, dal clima politico legato alla guerra fredda, da aspetti legati alla vita civile, segnata dal terrorismo degli anni di piombo. La letteratura prodotta in Italia durante questo periodo, “comprende narrazioni il più delle volte eterogenee, affidate agli interessi particolari di ciascun autore”, spiega il romanziere e saggista Giuseppe Lupo nel suo recente saggio Mosè sull’arca di Noè, in cui “vengono meno l’aspetto corrosivo, la funzione di denuncia, la precisa volontà di interpretare la società contemporanea, svelandone limiti e pericoli”.

Tuttavia quest’opera di Vegliani si discosta dalle altre del suo stesso periodo per il tentativo che l’autore porta avanti di analizzare in modo lucido la società in cui viveva, non può essere un caso, infatti, che la stella di Kapra abbia un passato segnato dagli stessi eventi storici accaduti realmente sul nostro pianeta, il protagonista discute con la sua guida delle scelte operate in campo sociale sui due diversi pianeti ed esamina la condizione dell’uomo moderno in rapporto all’ambiente in cui vive. Sembra quasi che la vita sull’astro possa essere, secondo Vegliani, il punto di arrivo più probabile in futuro anche per noi, ovvero la realizzazione di una convivenza in cui, nel nome di un benessere collettivo supportato dalle scoperte scientifiche, l’individualità e la capacità critica dell’uomo saranno costrette a lasciare il posto all’omologazione assoluta, ad una società di massa in cui il conformismo, imposto, riesce a dare un senso di conforto e non permette più di vedere lo stato di alienazione in cui, di fatto, si vive.

Scritto, è opportuno ricordarlo, in un periodo in cui la parola globalizzazione non era ancora stata inventata, questo piccolo gioiello della narrativa viene pubblicato adesso, per la prima volta, per iniziativa della casa editrice Cinquesensi, ed è sicuramente molto di più di un romanzo catalogabile in un genere oppure in un altro, rivelandosi invece l’opera visionaria di un grande scrittore ancora tutto da scoprire.

 

Valeria Savio

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