La “conquista” del monte Everest. E quei biscotti lasciati in vetta

Hillary_and_tenzing
di Francesca Radaelli

Il 29 maggio del 1953 l’uomo ‘conquistava’ la montagna più alta del mondo. A raggiungere per primi gli 8.848 metri dell’Everest furono il neozelandese Edmund Hillary e lo sherpa nepalese Tenzing Norgay, che lo scalarono dal colle sud e dalla cresta sud-est. Facevano parte della spedizione britannica guidata da John Hunt, successiva al precedente tentativo compiuto, sempre sotto lo stendardo della Corona inglese, da George Mallory e Andrew Irvine (scomparsi nel 1924 nel corso di una spedizione dalla cresta nord e nord-est, e non è mai stato accertato se i due abbiano raggiunto la cima prima di soccombere). Era invece svizzera la spedizione che, guidata da  Edouard Wyss-Dunant e René Dittert, l’anno precedente aveva inaugurato la via all’Everest dal Nepal, giungendo a soli 200 metri dalla cima.

La notizia della conquista della vetta fu diffusa in tutto il mondo il 2 giugno 1953, contemporaneamente alla cerimonia di incoronazione ufficiale della regina Elisabetta II. “What a glorious day” per la Gran Bretagna! Il successo della spedizione contribuì senz’altro a dare lustro alla Corona inglese, ma rappresenta anche una bella storia di lealtà, amicizia e rispetto per la montagna.

Everest

Soprattutto oggi, nell’epoca dell’alpinismo ‘di massa’, quando chiunque può permettersi di affrontare una spedizione in Himalaya, e in un momento in cui il mondo osserva impotente la catastrofe che sta devastando il territorio e la popolazione del Nepal, ha ancora molto, moltissimo, da raccontarci l’impresa dell’apicoltore Hillary e del poliglotta Tenzing (il quale, pur non sapendo scrivere, oltre a sherpa e nepalese parlava urdu, hindi e dialetti del Pakistan, avendo vissuto in India, e poi inglese e anche un po’ di italiano e francese, avendo lavorato al seguito di molte spedizioni di esploratori europei). I due erano animati da uno spirito di avventura e da un amore per la montagna che li fece entrare subito in perfetta sintonia. E questo affiatamento non fu scalfito nemmeno dalle polemiche sorte, al loro ritorno, su chi fosse stato a tutti gli effetti il primo a giungere in vetta. In una dichiarazione firmata da entrambi affermarono di essere arrivati praticamente insieme, in seguito Tenzing disse che fu Hillary il primo a toccare la vetta per il semplice motivo che era il suo turno stare davanti e aprire la strada. Perché la montagna non è tanto una questione di competizione, ma una sfida da affrontare insieme.

Tenzing And Hillary
Hillary (a sinistra) e Tenzing

Per l’impresa entrambi sono stati sommersi dalle onorificenze. Hillary ha sempre detto però di considerare la sua conquista più grande i successi ottenuti in campo umanitario: finita la stagione delle esplorazioni, l’eroe neozelandese, mancato nel 2008, fondò un’associazione per aiutare proprio il popolo nepalese degli sherpa, da sempre fondamentale nel successo delle spedizioni himalayane ma che, anche prima di essere colpito dal terribile terremoto di queste settimane,  non versava certo in condizioni idilliache. Anche Tenzing, per parte sua, si dedicò a varie attività a favore della comunità sherpa, soprattutto per la formazione e tutela dei portatori, dirigendo l’Istituto Himalayano di Alpinismo di Darijeeling.

Una volta giunti in vetta, i due vi restarono circa 15 minuti, scattando varie fotografie. Tra le cose che vi lasciarono, prima di iniziare la discesa, c’erano le bandiere delle Nazioni Unite, della Gran Bretagna, del Nepal e dell’India, cioccolata e biscotti. Questi ultimi, fonte di energia preziosissima per ogni esploratore ‘estremo’, furono lasciati da Tenzing come offerta alla divinità della terra Miyu Langsangma, venerata dai buddisti. Per ringraziarla della riuscita dell’impresa? Per propiziare la discesa? Forse, per cercare di evitare – con i soli mezzi a propria disposizione – che si arrabbiasse troppo.

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Hillary e Tenzing

Perché lei, la terra, l’uomo può percorrerla in lungo e in largo, e oggi più che mai ha la possibilità di raggiungere i luoghi più impervi e inaccessibili. Ma è un vero sacrilegio pensare di poter ‘conquistare’ e possedere qualcosa che, da un momento all’altro, può risvegliarsi, e sprigionare una forza devastante per ogni sprovveduto ‘conquistatore’. Forse il buon Tenzing, che non sapeva scrivere ma parlava tante lingue, questo l’aveva capito. Anche senza bisogno che arrivasse un terremoto  a ricordarlo.

 
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