La danza degli specchi

danza

di Claudia Terragni

Dal 1982, il 29 Aprile si celebra la Giornata Mondiale della Danza. Il professor Alkis Raftis, presidente del Consiglio Internazionale della Danza, nel messaggio ufficiale del 2011 ricorda che “la voglia di ballare è un impulso naturale e a modo loro i ballerini onorano la natura: lasciando che l’energia cosmica scorra dentro i loro corpi si mettono in contatto con l’universo”.

Un fiume di note che attraversa i corpi, uno spirito vitale che riattiva la carne. Il cuore pulsa di un’energia sconosciuta, impersonale, universale. Il ritmo si impossessa dei muscoli, le ossa non si muovono più al tempo scandito dalla volontà umana. Il corpo è dominato da una forza incontrollabile, sovrumana. Non è più tuo. È del Tutto. Di una musica che trascende la tua individualità e ti riporta ad una dimensione ancestrale, in cui tu sei del mondo e il mondo è tuo. La stessa melodia che ha cullato ognuno di noi nel grembo della propria madre. Lo stesso suono del battito cardiaco e del respiro. La sinfonia di un’umanità a cui non è possibile non appartenere. La danza riunifica, sovrasta le differenze, ci riporta alle nostre origini. Il ballo scorre in ognuno di noi. Come il filo di una collana che unisce perline di ogni forma, colore e dimensione: non c’è lustrino che abbia un foro troppo stretto, che non permetta alla musica di passare.

Questa dimensione umanizzante della danza è quella di cui mi parla Matilde, una sorridente e riccissima studentessa di psicologia dagli occhi azzurri con l’agenda straripante di cose da fare. Matilde ha partecipato a un progetto organizzato dalla sua scuola di danza in provincia di Verona: un percorso di danza-terapia a cui hanno partecipato una ventina di ragazzi tra i 16 e i 30 anni. La metà di loro è disabile.

Matilde ama la danza, ma dopo dieci lunghi ani di classica, jazz e video dance, ballare è diventato un peso. Un faticoso impegno da incastrare tra mille altri. Uno stress, forse, in cui il ballo è incatenato dalla rigidità delle coreografie, imbavagliato dalla soggezione, rinchiuso in un clima di competizione, scarpe scomode e performance che devono risultare perfette. Partecipando a questo progetto ha riscoperto il significato più intimo della sua passione. “È qualcosa che ti scioglie” dice.

Le lezioni settimanali prevedono una serie di esercizi, singoli e a coppie: tecniche di introspezione attraverso il movimento. Lasciare che il corpo venga guidato dalla musica, che il movimento fluisca libero e spontaneo, che i passi esprimano i sentimenti e le emozione del momento. La danza libera l’energia che è in noi, non la contrasta. Ballare permette di esternare ciò che abbiamo dentro, quello che prima era intrappolato nella gabbia del corpo, viene lasciato scivolare fuori sulle accoglienti note del pentagramma. La gabbia si schiude, ci si abbandona al ballo. E ci si conosce.

In tutto questo la partecipazione di ragazzi disabili non è affatto indifferente. Ci si completa a vicenda, ci si aiuta reciprocamente. Dove uno non arriva interviene l’altro. I ragazzi senza handicap fisici mettono il movimento, i disabili mettono l’energia. Loro, volenti o nolenti, non possono nascondere ciò che realmente sono. La loro condizione non glielo permette. “Sono trasparenti, puri” racconta ammirata Matilde. Non hanno la possibilità di nascondersi dietro atteggiamenti che non siano sinceri. Si presentano e si relazionano inevitabilmente per quello che sono, con la loro strabiliante sensibilità. Forse non possono fare una spaccata o un pliè o una giravolta sulle scarpette da punta, ma riescono a esprimere tutto quell’immensa variopinta interiorità con un’infinita gamma di gesti. E con la voce! Nella danza-terapia non ci sono limiti: “durante il saggio di settimana scorsa, una ragazza era talmente emozionata che ha tirato un urlo davanti a tutti!”, ricorda Matilde.

Mi descrive il ballo come un continuo gioco di specchi: i ragazzi disabili spesso imitano gli altri per avere modelli da seguire, schemi motori in loro non così automatici. Ma forse è più quello che i disabili insegnano agli altri. Anche in questo caso c’è un rispecchiamento. I ragazzi “normali” imitano la loro nudità. Imparano la loro straordinaria capacità di mostrarsi senza veli, senza timore di giudizio, senza ipocrisia. L’abilità incredibile di accettare sé stessi. Li vedi così, privi di maschere, e faticosamente provi a fare come loro, a togliere quelle che invece tu indossi. Forse proprio per questo Matilde inizialmente era un po’intimorita dall’entrare in relazione con i ragazzi disabili. Perché forse loro già lo sanno. Forse loro già capiscono chi sei davvero, non si fermano all’apparenza di cui le persone normali si accontentano. Vanno oltre la facciata, in cui anche noi stessi ci rifugiamo. Forse loro ti vedono veramente ancora prima che tu decida di mostrarti. Loro ti stanno già accettando ancora prima che lo faccia tu stesso.

In questo reciproco rispecchiarsi e scoprirsi, attraverso la musica e la danza, in esercizi che seguono ritmi e tonalità diverse si dipingono armoniosi balletti. Un’armonia che unisce qualcosa che in realtà non è mai stato diviso: un gruppo composito che è sempre stato perfettamente omogeneo. Siamo tutti ballerini. Tutti perline unite da un filo fatato.

 

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