di Francesca Radaelli
Con fuochi d’artificio e grandi grigliate all’aperto gli Stati Uniti celebrano oggi, 4 luglio, la festa nazionale dell’Indipendence Day. La ricorrenza commemora l’approvazione nel 1776, da parte del Congresso, della Dichiarazione d’ Indipendenza con cui le Tredici Colonie si separavano ufficialmente dalla madrepatria inglese. Iniziava la Rivoluzione americana, che di lì a sette anni avrebbe portato alla vittoria dell’esercito guidato da George Washington sulle truppe inglesi di re Giorgio III e alla nascita vera e propria degli Stati Uniti d’America.
Il principale autore della Dichiarazione fu Thomas Jefferson, e fu lui che volle che il documento, redatto dalla Commissione dei Cinque, venisse pubblicato in forma scritta. Dopo un elenco dettagliato di accuse alla Gran Bretagna, colpevole di soffocare le colonie e le loro libertà commerciali, la Dichiarazione si conclude con queste parole, che danno inizio di fatto alle ostilità con la Corona inglese:
“Noi, Rappresentanti degli Stati Uniti d’America, […] solennemente rendiamo di pubblica ragione e dichiariamo: che queste Colonie Unite sono, e per diritto devono essere, stati liberi e indipendenti; che esse sono sciolte da ogni sudditanza alla Corona britannica, e che ogni legame politico tra esse e lo Stato di Gran Bretagna è, e deve essere, del tutto sciolto; e che, come Stati liberi e indipendenti, essi hanno pieno potere di far guerra, concludere pace, contrarre alleanze, stabilire commercio e compilare tutti gli altri atti e le cose che gli stati indipendenti possono a buon diritto fare. E in appoggio a questa dichiarazione, con salda fede nella protezione della Divina Provvidenza, reciprocamente impegniamo le nostre vite, i nostri beni e il nostro sacro onore”.
Ma, al di là del doveroso patriottismo che sempre accompagna le celebrazioni del 4 luglio in terra americana, forse oggi vale la pena ricordare, soprattutto, un altro passaggio del testo voluto da Thomas Jefferson, ossia la parte introduttiva, quella in cui vengono enunciati i principi fondamentali sui quali si basa la rivendicazione dell’Indipendenza delle Tredici Colonie. Principi che sono quelli universali del pensiero illuminista, che parlano di diritti che l’uomo possiede per natura e della responsabilità che i governi hanno nell’assicurare questi diritti ai governati:
“Noi riteniamo che sono per sé stesse evidenti queste verità: che tutti gli uomini sono creati eguali; che essi sono dal Creatore dotati di certi inalienabili diritti, che tra questi diritti sono la Vita, la Libertà, e il perseguimento della Felicità; che per garantire questi diritti sono istituiti tra gli uomini governi che derivano i loro giusti poteri dal consenso dei governati; che ogni qualvolta una qualsiasi forma di governo tende a negare questi fini, il popolo ha diritto di mutarla o abolirla e di istituire un nuovo governo fondato su tali principi e di organizzarne i poteri nella forma che sembri al popolo meglio atta a procurare la sua Sicurezza e la sua Felicità”.
Vita e libertà sono un diritto di tutti, che è dovere di ogni governo, oggi come nel XVIII secolo, difendere e preservare. E che, oggi come nel XVIII secolo, non a tutti gli uomini nel mondo sono assicurati dai loro governi.
La Felicità, invece, è un altro discorso.
Realizzarsi nel lavoro, nelle relazioni umane, nel proprio ruolo sociale? Vivere in pace con se stessi e con il mondo? Non esiste una definizione univoca di Felicità, e la questione si sposta su un piano decisamente più personale. Eppure, quella Felicità che rincorriamo un po’ alla cieca, quella Felicità che forse non sappiamo ben definire, ma che tutti noi vorremmo raggiungere una volta per tutte senza poi distaccarcene mai, quella Felicità che nemmeno il governo più giusto del mondo può assicurare a ciascuno dei propri cittadini, questa Felicità potrà essere non diciamo conquistata, ma perlomeno ricercata solo e soltanto finché avremo Vita e Libertà. E il difficile compito dei governi, dice la Dichiarazione, è proprio questo: mettere ogni essere umano nella condizione di poter essere felice.
Francesca Radaelli