La Siria, con la sua storia e il suo assetto sociale, la lotta pacifica dei suoi abitanti per sottrarsi alla dittatura, le persecuzioni feroci che chiunque si ribelli è costretto a subire: tutto quello che per tanto, troppo tempo l’Occidente non ha voluto vedere, raccontato in questo saggio pubblicato nel 2013 da Shady Hamadi, attivista per i diritti umani. Nato e vissuto in Italia, figlio di un dissenziente siriano in esilio, dopo l’inizio della rivolta del marzo 2011 contro il governo di Bashar al-Assad, Hamadi ha assunto il ruolo di importante figura di riferimento per la causa siriana.
Alternando la storia della sua famiglia a quella politica e sociale della Siria, lo scrittore parla della capacità di convivenza esistente fra coloro che professano fedi diverse, del desiderio di democrazia dei siriani, ricorda le figure di quegli attivisti che hanno voluto documentare gli eventi a costo della propria vita; racconta le aspettative deluse, quando si era diffusa la speranza di una maggiore apertura con la salita al potere di Assad figlio, descrive tutte le atrocità di cui è stata ed è tuttora vittima la popolazione civile, mentre il resto del mondo resta immobile a guardare, poiché, sostiene, “il caso siriano incarna tutte le paure di un cambiamento, perché un mutamento in Siria cambierebbe tutto il Medio Oriente”.
Particolarmente toccante è il capitolo di chiusura del saggio, intitolato L’infelicità siriana; in esso Hamadi abbandona lo stile del saggio per lanciare un grido di dolore, esternando in modo sofferto e poetico i motivi che lo rendono infelice come siriano, le sue parole sono un atto d’amore immenso sia nei confronti di una terra a cui sente fortemente di appartenere, sia verso un popolo che non sembra possedere una voce abbastanza forte da far crollare il muro di indifferenza della comunità internazionale.
Valeria Savio
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