di Francesca Radaelli
Ebbe fine il 5 dicembre del 1933 il proibizionismo, ossia quel periodo della storia americana, iniziato nel 1920, in cui negli Stati Uniti fu vietato produrre, vendere e trasportare alcolici. Con la fine del Volstead Act e la ratifica del 21° emendamento, milioni di Americani poterono finalmente acquistare l’alcol liberalizzato e regolarmente tassato. Ebbe fine il contrabbando, aumentarono le entrate dello Stato e si resero disponibili circa un milione di posti di lavoro collegati all’industria degli alcolici. Quasi una boccata d’ossigeno per l’America piegata dalla crisi del ‘29.
Tutto era cominciato nel gennaio del 1920, quando la legge nota come Volstead act e il 18° emendamento della costituzione avevano imposto il divieto sulle bevande alcoliche. Anzi, in realtà tutto era iniziato molto prima, agli albori della storia degli Stati Uniti. I primi gruppi del movimento proibizionista si formarono sin dall’inizio dell’Ottocento nelle aree rurali, erano composti da bianchi di origine anglosassone e di religione protestante, evangelica e metodista, con una grande partecipazione delle donne, spesso vittime di mariti ubriaconi e violenti. E con un ruolo non indifferente del Ku Klux Klan.
Sì, perché l’obiettivo era difendere l’America tradizionale contro gli immigrati delle grandi città, e contro uno stile di vita all’insegna del consumo di alcolici, che spesso favoriva aggressività e criminalità.
Ai primi del Novecento il proibizionismo era diventato un movimento ormai trasversale all’interno dei due principali partiti politici, finché nel 1917 durante i congressi dei Democratici e dei Repubblicani, i dry (‘asciutti’) proibizionisti misero in minoranza i wets (‘bagnati’) in entrambi gli schieramenti. Dando il via libera alla legalizzazione del proibizionismo, che entrò in vigore tre anni dopo, con il già citato Volstead act.
Chiamato anche “the noble experiment”, il Volstead act si poneva come obiettivo la moralizzazione della società statunitense.
Di fatto, la principale conseguenza fu quella di favorire il contrabbando e di fornire ai grandi gruppi mafiosi l’opportunità di creare un giro di affari assai redditizio. Non per niente questo fu un periodo segnato dai gangster, vide la comparsa sulla scena criminale di Al Capone e il dilagare della corruzione tra la polizia.
Il giro d’affari in alcol illegale è stato stimato in circa 3 miliardi di dollari dell’epoca, equivalenti al 3% del Pil nazionale, e diverse organizzazioni criminali si scontrarono per garantirsene il monopolio, divisi in bande su base etnica, con irlandesi e italiani in prima linea. I gruppi mafiosi prosperarono e molti di loro sopravvissero anche alla fine del proibizionismo, investendo i profitti accumulati in costruzioni, traffico di rifiuti, spaccio di droga.
Insomma, se gli alcolici erano stati vietati per arginare la criminalità nelle città, ‘l’esperimento’ è decisamente fallito e l’effetto ottenuto è stato diametralmente opposto. A volte, non c’è niente di peggio delle buone intenzioni.