di Luigi Picheca
In questi giorni siamo tutti in preda alla frenesia del Natale. Noi milanesi siamo proverbialmente sempre in ritardo negli acquisti, ci riduciamo sempre a correre all’ultimo momento e ci ricordiamo che manca sempre qualche pensiero per qualcuno.
I bambini scrivono sempre qualcosa in più sulla fatidica e dispendiosa letterina inviata a Babbo Natale e non sono mai contenti dei regali che ricevono.
I bambini, appunto, sono quelli a cui dedichiamo maggiore attenzione, forse perché non lo facciamo abbastanza durante il resto dell’anno e a volte diventano pure ingombranti.
Eppure c’è il bambino che è dentro di noi che ogni tanto si fa sentire e allora dedichiamo ai nostri figli più attenzione e li guardiamo con occhi diversi, gli occhi dell’amore.
Qualche giorno fa stavo guardando il tg e stavano mostrando un servizio che parlava dell’ennesimo tragico naufragio di migranti, le solite immagini.
Ma una immagine in particolare mi ha colpito, quella dove si vedeva una bambina di 10 o 12 anni che scendeva da una piccola imbarcazione saltando in acqua, era vicino a riva ma i suoi occhi terrorizzati dicevano tutto e la sua manina tremante cercava invano quella di un soccorritore che si era distratto per qualche interminabile secondo girandole le spalle.
Quegli occhi spaventati e imploranti mi hanno commosso, mi hanno ricordato le traversie, la fatica e i soprusi che quegli occhi innocenti hanno dovuto vedere durante il suo viaggio, un viaggio di speranza e di sogni ben presto trasformatisi in incubi.
Ho pensato a quella bambina per tanto tempo e a quei bambini che non ce l’hanno fatta ad inseguire i loro sogni europei perché periti in mare.
Ho pensato ai miei figli e mi sono sentito un peso sul cuore, se fossero stati loro in quei panni logori e strappati?
Ho capito quanto siamo egoisti verso quella povera gente e mi sono sentito imbarazzato verso quei bambini che hanno perso la loro vita e le loro speranze in mezzo a quel mare che li stava portando verso di noi, verso la felicità!
Luigi Picheca