di Alfredo Somoza
Il cacao non sarà una materia prima strategica come il petrolio, ma negli ultimi anni è diventato un bene di prim’ordine per via dell’aumento esponenziale del suo consumo.
In tutto il mondo si vende cioccolata in tipologie sempre più diversificate e raffinate: mono-origine, doc, con percentuali di cacao che possono arrivare fino al 99%. Sono solo due, però, i continenti dove si coltiva il cacao in modo significativo: l’America Latina, dove crescono le varietà più pregiate, e l’Africa, dove si producono i grandi quantitativi, circa il 77% del totale mondiale, che vengono acquistati dalle multinazionali dolciarie.
I due giganti africani del cacao sono Costa d’Avorio e Ghana, che da soli controllano quasi il 65% dell’offerta mondiale di un mercato che vale complessivamente 100 miliardi di dollari all’anno, dei quali solo il 12% circa viene incassato dai produttori di cacao. Si tratta di Paesi poveri che quasi monopolizzano la produzione di un prodotto ricco: in Africa, i braccianti che raccolgono le fave sono pagati un dollaro al giorno e la piaga del lavoro minorile è onnipresente.
In questi mesi si è scatenata una guerra silenziosa, tenuta segreta ai consumatori. I governi di Ghana e Costa d’Avorio hanno lanciato un’iniziativa che vuole approdare a qualcosa di simile all’Opec, l’associazione dei maggiori produttori di petrolio, che regola il mercato petrolifero (e, con esso, quello energetico) anche attraverso il taglio della produzione. In realtà la “Copec”, com’è stata battezzata l’unione tra i due Paesi, non può essere paragonata neanche da lontano al “cartello” del petrolio, tuttavia si è rivelata subito sufficiente per mettere sull’attenti i grandi acquirenti di cacao.
Questo perché i Paesi aderenti hanno deciso di far pagare agli importatori una tassa di 400 dollari a tonnellata che si aggiungono al prezzo della quotazione di borsa e ad altri extra, come il riconoscimento dell’origine del prodotto. In un primo momento i big mondiali hanno accettato la tassazione, ma poco dopo hanno dato inizio a una vera battaglia per evitare di pagarla. Anche con manovre sull’ICE, la borsa che tratta i futures di molte commodities tra cui il cacao, finalizzate a utilizzare le scorte immagazzinate e bypassare così i due principali produttori.
Costa d’Avorio e Ghana già minacciano rappresaglie, ad esempio quella di sospendere il programma di certificazione del cacao sostenibile per creare problemi di immagine ai produttori di cioccolata. Questa guerra potrebbe lasciare sul campo morti e feriti tra i piccoli produttori di cacao africani che non dispongono certo di risparmi sufficienti per superare un blocco degli acquisti. Il cacao, come altre materie prime, alla base della catena produttiva è associato alla miseria, al vertice al lusso. In mezzo tra questi due mondi si collocano grandi gruppi multinazionali, che si spartiscono il mercato e fanno la parte del leone: agendo come un cartello, proveranno con tutti i mezzi a piegare i Paesi che hanno osato chiedere una quota maggiore della ricchezza generata dal cacao rispetto alla miseria finora ricevuta.
È una storia che si ripete e che racconta come nella globalizzazione – e il consumo di cioccolata ne è uno status symbol – convivano modernità e situazioni arcaiche, libertà e diritti dei consumatori e semi-schiavitù dei contadini, grandi gruppi commerciali in guerra contro gli Stati dove si produce la loro ricchezza.