La guerra può essere giusta?

di Marco Riboldi

Pensieri in tempo di guerra.  Partiamo da una domanda non proprio semplice: esiste una guerra giusta?  Più che fornire risposte cerco di suggerire alcune riflessioni.

Proviamo a  dare un’occhiata alla tradizionale posizione della dottrina sociale della chiesa cattolica, che viene espressa e riassunta nella edizione attuale del Catechismo. In esso si dice che occorre fare tutto quanto è umanamente possibile per evitare la guerra.

A che condizioni tale ricorso alle armi può considerarsi giustificato? Al n. 2309 del Catechismo leggiamo:

“Si devono considerare con rigore le strette condizioni che giustificano una legittima difesa con la forza militare. Tale decisione, per la sua gravità, è sottomessa a rigorose condizioni di legittimità morale. Occorre contemporaneamente:

  • che il danno causato dall’aggressore alla nazione o alla comunità delle nazioni sia durevole, grave e certo
  • che tutti gli altri mezzi per porvi fine si siano rivelati impraticabili o inefficaci
  • che ci siano fondate condizioni di successo
  • che il ricorso alle armi non provochi danni e disordini più gravi del male da eliminare. Nella valutazione di questa condizione ha un grandissimo peso la potenza dei moderni mezzi di distruzione.

La valutazione di tali condizioni spetta al giudizio prudente di coloro che hanno la responsabilità del bene comune.”

In sostanza si riprende una dottrina tradizionale che risale almeno a San Tommaso d’Aquino, sostenendo che finché non ci sarà una autorità internazionale capace di scongiurare i conflitti, la legittima difesa delle nazioni può purtroppo comportare anche la necessità di ricorrere alle armi.

Le parole sottolineate (da me, non nel testo originale) sono i punti che mi fanno pensare  maggiormente, riferendomi all’oggi:

* la forza dei mezzi di distruzione disponibili (esiste una guerra attuale che risparmi civili e innocenti? E che anche tra i militari comporti il minor danno  possibile?)

* la necessità di provare tutte le strade per evitare il conflitto ( sono state battute tutte le vie possibili?)

* come determinare la possibilità di successo?

* è preposto il bene comune chi governa, comunque lo faccia o solo chi ha un consenso democraticamente e liberamente verificato? E se valgono solo gli eletti democraticamente, come  ci si comporta, con chi si tratta, se “l’altro” è un tiranno?

Resta ancora una domanda, la cui importanza può considerarsi oggi fortissima: la riflessione tradizionale, pur nella sua coerenza razionale, può ancora pienamente applicarsi ad un moderno conflitto?

Al proposito riprendo le dichiarazioni di papa Francesco, che rendono la riflessione ancora più profonda (e complessa): “Ancora oggi dobbiamo pensare con attenzione al concetto di ‘guerra giusta’. Abbiamo imparato in filosofia politica che per difendersi si può fare la guerra e considerarla giusta. Ma si può parlare di “guerra giusta”?  O di ‘guerra di difesa’? In realtà la sola cosa giusta è la pace” (in un libro intervista del 2017).

Che cosa si può fare, allora?

San Francesco: pacifista senza paure

E’ noto che Francesco d’Assisi prima della sua conversione era uomo d’armi. Combatté, venne fatto prigioniero, tornò a combattere, sperando anche in una promozione sociale attraverso il mestiere delle armi.

Poi, però, ebbe quella trasformazione che lo rese un altro uomo.

Che messaggio lasciò in tema di pace e guerra?

Anzitutto parlò del rifiuto di ogni violenza come scelta personale di chiunque intendesse seguirlo: né percosse, né violenze, né irrisioni giustificavano una reazione da parte di un francescano. ”Offri l’altra guancia” è comando evangelico da prendere alla lettera.

Neppure l’esercizio del governo, ecclesiale o civile, può giustificare la umiliazione o la repressione nei confronti degli altri.

All’epoca di San Francesco il confronto con i nemici si risolveva in battaglie furibonde, sanguinosissime e condotte nella maggior parte dei casi faccia a faccia con l’avversario: chiunque abbia visto un museo delle armi può rendersi conto della ferocia con cui si uccidevano gli altri.

Sappiamo che anche le divisioni religiose venivano spesso trasformate in conflitti così crudeli: le Crociate erano guerre in cui non  si risparmiava il sangue.

In questo contesto, Francesco si recò anche in Terrasanta, consigliando ai suoi frati che stavano tra gli “infedeli “ di  “comportarsi spiritualmente”, cioè “che non facciano liti, né dispute, ma siano soggetti ad ogni creatura umana per amore di Dio confessino di essere cristiani”.  Solo “quando vedranno che piace a Dio, annunzino la parola di Dio perché essi credano” nel Dio Trinitario.

Quindi prima di tutto una testimonianza di fratellanza, poi l’annuncio: e San Francesco non si tirerà indietro quando, parlando con il nipote del Saladino, nel cui campo si era recato senza alcuna arma o scorta, spiegherà con franchezza sia le questioni relative ai luoghi sacri contesi, sia la sua fede.

Niente armi, ma testimonianza, fede, franchezza e rispetto, dato e ricevuto ( il nipote del Saladino resterà colpito dalla personalità e dalla sincerità del suo visitatore).

Esempio applicabile? Come e da chi? Altre riflessioni …

 

 

 

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