La lezione del gigante

di Paola Biffi

Quello che manca a questo 2016 è forse un’alternativa. Siamo arrivati a dicembre e ancora non l’abbiamo trovata: consultazioni su consultazioni e teorici e talk show, tutti a chiedersi dov’è, che fine ha fatto, qual è l’alternativa all’odio? Quale l’alternativa alla xenofobia? L’alternativa a noi? All’occidente? Alla democrazia? All’olio di palma e al riscaldamento globale?

E il difetto, signori del 2016, è che non riusciamo più a guardare a un palmo da noi: la nebbia di questi giorni è forse uscita dalla nostra testa di “oneman” del mondo, perché di alternative ce ne sono in giro, ma occorre andare un po’ più lontano, un po’ più in su, ad esempio.

Il Canada è un gigante silenzioso ma sorridente, un uomo di montagna, dal fare modesto. Eppure come tutti i grandi saggi dei monti, ha pronta un’importante lezione per i suoi cugini States e il resto della banda, bisogna solo prestargli attenzione.

Il 4 novembre 2015 è stato eletto primo ministro Justin Trudeau, classe 1971, ex professore e snowboarder, e con lui i canadesi hanno scelto una politica giovane e innovativa. Tra il 2015 e il 2016 il Paese ha accolto 321mila migranti, e circa l’80% di questi hanno ottenuto la cittadinanza, si vuole eliminare l’obbligo del visto per i messicani imposto dall’ex primo ministro e c’è l’idea di adottare una tassa sulle emissioni di anidride carbonica per diminuire l’impatto ambientale.

Justin Trudeau

Una politica di eticità concreta, che sembra essere così la risposta perfetta e la soluzione già scritta di quello che il resto del mondo sta sbagliando, ma ovviamente non mancano le contraddizioni, i dubbi, l’idea che il Canada e Trudeau non riusciranno per molto a restare immuni dall’ondata di sfiducia e populismo, vera protagonista dell’anno. Stephen Marche, giornalista canadese, sostiene che “guardare il lato positivo delle cose non è sufficiente”, e non a sproposito: non sempre la nazione riesce a realizzare il suo ideale multiculturale, gli immigrati sono comunque sottoposti a una selezione in base alle competenze, all’istruzione, all’esperienza lavorativa, prima di essere accolti, la politica di riconciliazione con le popolazioni indigene è ancora un processo lento e non sempre funzionante e anche rispetto alla costruzione di oleodotti, il Canada ha adottato posizioni conservative rispetto ad altri paesi, tra cui gli Stati Uniti.

Se è vero che Trudeau non ha in mano le tavole della legge per uscire dalla crisi mondiale, è altrettanto vero che lui, diversamente da tanti altri, ha capito che dalla crisi non si esce e non si può uscire promuovendo odio, sfiducia e rassegnazione. Ha capito che la politica non si giudica ma si fa, che la soluzione non si pretende ma si cerca, che alla logica del contro si deve sostituire la logica dell’incontro.

Stephen Marche conclude il suo articolo dicendo “Dobbiamo dimostrare, con l’esempio, che l’odio non è l’unica alternativa possibile in un mondo pieno di altri. E questo ci contraddistinguerà più di qualsiasi papavero appuntato sul petto”.

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