La Missionaria della gioia e la Formichina Atomica

di Maria Grazia Simoncini in Fabris

La famiglia Riva, la storica famiglia che dette i natali a ben due missionari, vanto della chiesa monzese: la venerabile Madre Fernanda Riva, canossiana (Monza, 17 aprile 1920 – Mumbay, India, 22 gennaio 1956) e Padre Giuseppe Erminio Riva (Monza  4 giugno 1917 – S.Josè do Rio Preto, Brasile, 20 agosto 2021), missionario in Brasile, soprannominato “Formichina Atomica”.

Della Venerabile Madre Fernanda, celebrata nel centenario della nascita in San Biagio, parrocchia di Monza, che ne espone l’effigie in chiesa, dal 2021, abbiamo già scritto. Ma ora  proponiamo  una memoria della famiglia che l’ha generata.

“Sante Subito”, ecco lo slogan scelto dalle famiglie diocesane per le iniziative di comunicazione e testimonianza che il 18 giugno anche a Milano avranno visibilità, come nelle intenzioni di Papa Francesco, in preparazione dell’incontro annuale mondiale di Roma dal 22 al 26 giugno.

Questa è una storia che vede protagonista un’intera famiglia del secolo scorso che continua a far parlare di sé nella testimonianza di ben due figli religiosi e missionari: Fernanda e Giuseppe.

Una vita brevissima quella di Fernanda, pur giunta agli onori degli altari, lunghissima invece la vita del fratello pure missionario, morto in povertà e silenzio dopo una vita di intensa attività e vitalità per cui fu soprannominato a 98 anni “formichina atomica”.

I nomi dei genitori: Gaetano Riva, artigiano modellista del legno, sposo a Bambina Cambiaghi, berrettaia e guardarobiera possono non dirci niente di che, se non che furono ai tempi sposi in San Biagio vecchio, dove poi battezzarono i loro quattro figlioli.

Fu una famiglia modesta, la loro, anche segnata dalla prematura morte di papà Gaetano, quando la piccola Fernanda non aveva che 3 mesi, e l’anno successivo della più grandicella figlia Erminia, di 9 anni, colpita da difterite.

Non mancò però la provvidenza: la coraggiosa vedova, con l’aiuto del Cielo, e concretamente dalle zie, Stella e Antonietta, pie Angeline del Duomo, e dei parenti tutti, crebbe Franzio, Giuseppe e Fernanda: figli esemplari, sereni, buoni, capaci negli studi e capaci di rinunciarvi per applicarsi presto a guadagnare per la famiglia.

I ragazzi maturarono responsabilità e impegno anche grazie alle catechesi e ai giochi degli oratori, quello maschile degli Artigianelli, e quello femminile delle Madri Canossiane in via San Martino.

E Gesù maestro parla al cuore dei semplici: a 12 anni Giuseppe entrerà in discernimento presso i Pavoniani di Brescia. Fernanda ci pensa bene, a 14 anni già si applica come commessa presso una merceria di Corso Milano, ma non può che rispondere con entusiasmo ai richiami di Gesù Eucaristia: sente che la Provvidenza non mancherà alla famiglia assecondando la vocazione religiosa.

La mamma capisce e accetta: Fernanda studia di sera, a casa, e a 18 anni entrerà in noviziato a Vimercate. La foto ricordo dell’ultimo saluto in famiglia, a Monza, e sette mesi dopo, nel 1939, partirà ancora novizia per l’India. Si era appena agli inizi del secondo conflitto mondiale, l’india era retta dal regime imperiale inglese da cui si sarebbe distaccata con la predicazione del Mahatma Gandhi.

Viene in mente che non solo qualcosa “di monzese”  abbia segnato l’originale testimonianza di serenità, abilità, audacia che rese distinta la vita, il pensiero e l’attività di madre Fernanda tanto da giustificare l’appellativo de “la Missionaria della Gioia”.

Si ingegnava, come a casa, di rendere felici tutte le persone che incontrava. Anche in tempi di confusione e conflitto. Studiava come farlo, e farlo bene. Si sacrificava per gli altri. E chiese in ultimo al Cittadino di Monza di ricevere la carità della campanella elettrica che avrebbe scandito il tempo dello studio e della ricreazione della scuola indiana che costruì.

18 anni di vita a Monza e neanche altrettanti tra indù e musulmani. Salita agli onori degli altari il 28. giugno del 2012, morta giovane, trentaseienne, restò nota per l’insigne carità, la benevolenza, l’inclusione  e il disarmante sorriso con cui affrontò tempi inquieti nel sub continente indiano.

Madre Fernando ha  lavorato per la promozione di poveri, svantaggiati, specialmente le donne, per cui aprì il primo college universitario nel sud del Kerala, ad Alleppey, dove oggi ancora studiano oltre 1200 alunne tra i vari ordini di scuola, e si specializzano, nelle otto facoltà e due ulteriori master post laurea.

Ma volgiamo lo sguardo ad un altro continente, quello americano, dove dal 1950 è comandato l’ormai sacerdote e religioso pavoniano padre Giuseppe Erminio Riva, ordinato sacerdote nel 1942, vice rettore del Collegio pavoniano di Pavia per 8 anni, prima del mandato missionario nello stato dello Spirito Santo, in Brasile.

Parroco a Vitoria per 19 anni, fu poi in Mato Grosso dove fondò quattro nuove parrocchie e andò a vivere, su invito del Vescovo, con i favelados per cui riuscì a costruire ben 120 casette.

Tre volte superò febbri malariche. Dopo 5 anni, dal 1983 al 1988 servì nel clero diocesano di Anapolis Goias, da vice parroco e prefetto di Disciplina nel seminario diocesano.

Dal 1987 abitò poi nella diocesi di Rio Preto (S.Paolo del Brasile) dove ebbe in mandato la cappellania di 8 ospedali locali e 8 regionali, nel 1992 venne riconosciuto cittadino onorario di S.Josè do Rio Preto, per il 50° di ordinazione.

Senza soldi per possedere casa o auto, a 98 anni ancora visitava famiglie e malati in bicicletta, affabile con tutti, dava immaginette di sua sorella Fernanda con preghiera di intercessione dicendo: “Prega… questa è mia sorella di sangue… tutto è opera di Dio”. 

In vita, i due fratelli avevano mantenuto contatti epistolari di reciprocità pur nella lontananza. Ormai quasi centenario diceva che il segreto della sua longevità era opera di Dio e della sua volontà di salvare anime. Sempre più anziano, (mai vecchio) dal 2007 ospite a Jaci, Ospedale Madre della Divina Provvidenza, venne accudito dalla comunità di Frei Francisco Obra de Coracao fondata a Beberibe, nel Maranon, opera che accudisce tossicodipendenti e bisognosi, accanto al convento e seminario.

Qui Pè Josè – il nostro Padre Giuseppe- ha continuato fino all’ultimo a testimoniare fede, speranza e carità, convinto che è bella la vita con Dio, e bella sarà anche la morte.

Concludendo: un plauso all’esempio concreto di una famiglia monzese credente, particolarmente devota ed eroica nella specialissima testimonianza di fede, di amore agli ultimi, semplicità, dignità, pazienza,  preghiera, audacia tutte da imitare. Una vera scuola di Santità!!!       

                                 

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