di Francesca Radaelli
Il 4 gennaio 1960 moriva in un incidente stradale lo scrittore Albert Camus, caposcuola con Jean Paul Sartre dell’esistenzialismo francese e premio Nobel per la Letteratura nel 1957. Quella mattina d’inverno di 55 anni fa Camus si trova a bordo dell’auto del suo editore, Michel Gallimard, che era alla guida, mentre sui sedili posteriori viaggiavano la figlia e la moglie di quest’ultimo. I quattro hanno trascorso la sera precedente nel villaggio di Thoissey, nella Francia centrale, e viaggiano ora alla volta di Parigi. La strada è dritta e semideserta. A un certo punto, all’altezza della frazione Petit-Villeblevin, Gallimard perde il controllo dell’auto, sterza bruscamente e il veicolo va a sbattere contro uno dei platani sul bordo della strada. Il guidatore muore sul colpo, Albert Camus viene estratto agonizzante dalle lamiere e morirà poco dopo. L’autore de La Peste, Lo Straniero, La Caduta e Il Mito di Sisifo ha 46 anni.
Nel 2011 esce “Camus deve morire”, dello scrittore Giovanni Catelli, un libro che vuole riaprire la vicenda della morte dello scrittore e filosofo, mettendola in relazione con un attentato ad opera niente meno che del Kgb. Secondo la tesi sostenuta dall’autore, gli agenti dei servizi segreti di Mosca avrebbero danneggiato uno pneumatico dell’auto di Gallimard determinando così l’incidente di quel 4 gennaio. L’ordine sarebbe arrivato direttamente dal ministro degli Esteri sovietico Šepilov, che avrebbe voluto punire in questo modo Camus per averlo attaccato esplicitamente in un articolo pubblicato su ‘Franc-Tireur’ tre anni prima, nel marzo 1957, un articolo in cui lo scrittore condannava senza appello la repressione sovietica in Ungheria.
Il romanzo ha fatto molto parlare di sé e parecchi dubbi sono stati avanzati sulla tesi di Catelli. In ogni caso, il semplice fatto che un’ipotesi del genere possa avere credito aiuta a capire che tipo di intellettuale sia stato Albert Camus, tra i pochi della sua epoca a denunciare i crimini dell’Unione Sovietica, spendendosi in prima persona, tra l’altro, per l’assegnazione del premio Nobel allo scrittore russo dissidente Boris Pasternack.
Albert Camus era nato a Mondovì in Algeria il 7 novembre del 1913 da una modesta famiglia di coloni francesi. Il padre, Lucien Auguste Camus, un fornitore d’uva locale, morì nella prima battaglia della Marna nel 1914 e Albert si trasferì allora ad Algeri con la madre. Colpito molto presto dalla tubercolosi, malattia all’epoca considerata inguaribile, completò da privatista gli studi di filosofia laureandosi brillantemente nel 1936. Sono anni in cui fascismo e nazismo dominano l’Europa e Camus aderisce al movimento antifascista e poi al partito comunista francese.
Esercita la professione di giornalista inizialmente come critico letterario, poi come cronista politico, guadagnandosi l’inimicizia del governo algerino, che lo costringe a lasciare il Paese, recandosi in Francia, dove nel 1940 vive in prima linea l’esperienza della resistenza all’occupazione nazista, affiliandosi alla cellula partigiana Combat. La sua adesione ai partiti comunisti durante la guerra è motivata però dalla reazione ai regimi fascisti piuttosto che dall’adesione all’ideologia marxista. Finita la guerra lo scrittore è tra i pochi a criticare apertamente i metodi brutali del soviet in occasione della repressione di uno sciopero a Berlino Est.
La frattura con il Partito comunista si formalizza definitivamente nel 1950 al “Congresso per la libertà della cultura” di Berlino, con l’espulsione di Camus, sempre più vicino all’anarchismo filosofico francese.
Nel 1951 la pubblicazione de L’uomo in rivolta fa nascere una lunga polemica con l’altra grande personalità dell’esistenzialismo francese, Jean Paul Sartre: Camus critica le degenerazioni del comunismo, Sartre ritiene che l’amico di un tempo sia diventato ormai borghese e passivo.
E’ il 1957, tre anni prima di morire, quando Camus riceve il premio Nobel per la Letteratura “per la sua importante produzione letteraria, che con serietà chiarificante illumina i problemi della coscienza umana nel nostro tempo”.