di Carlo Rolle
Buongiorno, amici, oggi vi presento “La neve di San Pietro”, un libro di Leo Perutz, un autore relativamente poco conosciuto, del quale Adelphi ha pubblicato diversi romanzi nella collana “Biblioteca”.
Leo Perutz (1882 -1957) era nato a Praga, in una famiglia ebraica ormai secolarizzata. Il padre era un agiato commerciante di tessuti. Nel 1901 si trasferì a Vienna con la famiglia e vi aprì un’azienda tessile che resterà attiva fino all’annessione dell’Austria da parte della Germania nazista, nel 1938.
Leo si laureò in matematica attuariale e lavorò per società di assicurazioni. Come Kafka, lavorò anche per le Assicurazioni Generali. Era una mente brillante: inventò una formula che portò il suo nome e fu usata a lungo nel calcolo attuariale. Intanto frequentava il brillante ambiente culturale viennese, divenne romanziere e drammaturgo, conoscendo il successo dopo la Grande Guerra.
Con l’invasione della Germania nazista, Leo Perutz si rifugiò in Israele, su impulso di un fratello, ardente sionista. Ma il clima di fervore religioso che caratterizzava allora Israele non fu mai congeniale ad uno scrittore formatosi nel sofisticato e cosmopolita ambiente viennese. Nel 1951 Leo Perutz riuscì a tornare in Austria, dove morì nel 1957. Fu ingiustamente dimenticato per molti anni.
“La neve di San Pietro” uscì nel 1933 presso l’editore Paul Zsolnay. Era l’anno della presa del potere di Hitler e l’editore era ebreo: per questo motivo la vendita del libro fu proibita in Germania. Si tratta di un romanzo fantastico, ambientato all’inizio degli anni ’30 in uno scenario realistico. In esso si insinuano elementi che portano il protagonista a vivere un’avventura così strana, da farlo dubitare della propria percezione della realtà.
Il romanzo si apre con il protagonista che riprende lentamente conoscenza in un letto d’ospedale. Eventi drammatici da lui vissuti gli tornano alla mente, ma egli si accorge che medici e infermieri sembrano ignorarli. Costoro gli spiegano che si trova nell’ospedale di Osnabrück, dove è rimasto in coma per cinque settimane, dopo esser stato investito da un’auto davanti alla stazione della città. Sbalordito, il protagonista si astiene dal condividere i propri ricordi con i medici. Ha veramente vissuto i fatti che ricorda o si è trattato di un sogno generato dal coma?
A partire dal secondo capitolo il protagonista narra a noi lettori quanto ricorda. È un giovane medico di nome Friedrich Amberg. Già orfano di madre, egli aveva perso anche il padre, un insigne medievista, a soli 14 anni. Aiutato da una zia a terminare gli studi, ha conseguito una laurea in medicina a Berlino, ma è ancora privo di mezzi e di clienti. Un giorno legge un annuncio in un giornale: l’amministrazione della tenuta del barone von Malchin, a Morwede, nel distretto di Rheda, in Vestfalia, ha un posto di medico condotto da assegnare. Il candidato prescelto avrà diritto ad un reddito minimo annuo e ad un alloggio.
Il giovane risponde all’annuncio; il nome von Malchin gli ha fatto affiorare una vaga reminiscenza: molti anni prima il padre aveva ricevuto la visita di barone con questo nome. La risposta che riceve dopo qualche giorno gli conferma la giustezza del suo ricordo. Il barone si dice onorato di accettare la candidatura del figlio del grande medievista per il posto di medico condotto. Il giovane parte per trasferirsi a Morwede. Un treno lo porta dapprima ad Osnabrück, in Vestfalia. Lì deve attendere un treno regionale per la cittadina di Rheda, dove il barone lo manderà a prendere.
Sapete bene, amici lettori, che molti racconti “noir” iniziano con falsamente rassicuranti preamboli, nei quali il protagonista intraprende un percorso che lo porterà in un luogo fuori mano, e proprio durante il viaggio arrivano allarmanti allusioni ai guai che si preparano.
Durante l’attesa per il secondo treno, il giovane gironzola per Osnabrück ed entra a curiosare in un negozietto d’antichità. Qui lo colpisce il titolo di un vecchio libro: “Perché la fede in Dio scompare dal mondo?”. Mentre ritorna verso la stazione, sulla piazza antistante ad essa, ha una visione che lo lascia senza fiato.
Dovete sapere che durante l’ultimo semestre di medicina a Berlino, Friedrich aveva frequentato le esercitazioni all’Istituto di Batteriologia. Tra i frequentatori del laboratorio c’era una bellissima ragazza greca, sulla quale ogni studente avrebbe desiderato far colpo; senonché lei si mostrava fredda e non incoraggiava la loro confidenza. Vedendo che alcuni uomini più grandi attendevano quest’affascinante creatura quando lei lasciava l’istituto, gli studenti l’avevano giudicata una preda irraggiungibile.
Poi, verso la fine del semestre, Friedrich si era ammalato ed era stato assente per diversi giorni. Al suo ritorno, la studentessa greca era scomparsa e lui, che nel frattempo se ne era innamorato, non era più riuscito a saper nulla di lei. Per questo rimane esterrefatto quando, la vede passare alla guida di una Cadillac proprio davanti alla stazione di Osnabrück. Per un attimo è incerto se chiamarla, ma ormai mancano pochi minuti alla partenza del treno e sarebbe impossibile attardarsi. Così il giovane sale sul treno turbato da quella coincidenza, temendo d’aver perso l’occasione della sua vita.
Alla stazione di Rheda, Friedrich trova una slitta ad attenderlo (siamo in inverno), guidata da un singolare personaggio. È il principe russo Praxatin, “una foglia strappata dalla tempesta della Rivoluzione”, come lui stesso si definisce; il barone gli ha dato un lavoro come amministratore della sua tenuta. Capiamo che Praxatin soffre di vivere sepolto in quel luogo isolato.
Lungo la strada, Praxatin chiede al medico di fermarsi a visitare una ragazzina nella casa del guardaboschi. Qui il nostro eroe fa un altro incontro: è un ragazzo più giovane di lui, dall’aspetto signorile; si chiama Federico ed è il figlio adottivo del barone. È venuto lì per confortare la piccola malata, contravvenendo al divieto del barone.
Questo ragazzo viene dall’Italia, dove viveva con la propria poverissima famiglia. Anni fa il barone lo ha adottato, gli ha insegnato tutto e ora lo ama più che la sua stessa figlia, racconta Praxatin. Solo dopo la visita, il medico scopre che la figlia del barone è proprio la ragazzina che lui ha appena visitato, stranamente confinata nella casa del guardaboschi.
Il medico prende alloggio nel paesino di Morwede e poi si reca a conoscere il barone von Malchin nella sua magione, piena di antiche armi, circondata da un vasto parco. Il barone vive immerso nel passato, il suo salone è ancora illuminato con lampade a olio ed egli rifiuta l’impiego delle moderne macchine agricole nelle sue terre. Egli ricorda con ammirazione il padre del medico, col quale parlava spesso di storia medievale; ma da qualche tempo – aggiunge il barone – i suoi interessi sono rivolti alle scienze naturali.
Si intuisce che il barone è impegnato in un grande progetto, sul quale vige un’estrema segretezza. Con la più grande emozione, il medico apprende che per la sua realizzazione il barone ha assunto proprio la bellissima greca che era stata sua compagna di corso all’Istituto di Batteriologia a Berlino. Il barone l’ha mandata a Berlino con la sua Cadillac, a procurarsi qualcosa. Ma dopo qualche giorno la bella greca ritorna e fa capire al nostro eroe capirà che non l’aveva dimenticato.
In seguito apprendiamo alcuni particolari sulle idee che occupano il barone già da molti anni. Egli è preoccupato per le sorti del mondo, che vede sovvertito dall’ateismo e dalle rivoluzioni. Secondo lui la salvezza dei popoli riposa nelle dinastie reali, alle quali Dio ha affidato fin dal medioevo le sorti del mondo. Attraverso il sangue di queste dinastie si trasmette la legittimità dei regni, ed esse soltanto potranno proteggere il genere umano dalla rovina.
Ma ciò non è tutto; perché il barone considera legittime solo le antiche stirpi regali: cioè non i Windsor in Inghilterra, bensì i Tudor; non i Romanov in Russia, bensì i Rurik, dei quali il principe Praxatin sarebbe un discendente; non gli Hohenzollern in Germania, bensì gli Hohenstaufen, cioè i discendenti del grande Federico II, morto nel 1250. Federico, il ragazzo che il barone ha adottato, sarebbe un lontano discendente proprio di quest’ultimo.
Ma come si potrebbe immaginare di restaurare nel mondo moderno, dominato da scienza, razionalità e da idee di uguaglianza politica, la fiducia nelle antiche dinastie? Proprio il declino della religione testimonia il trionfo della modernità, che rende impensabile un ritorno all’antico.
Non è proprio così, confida il barone al giovane medico durante i colloqui che ha con lui. Anni di studi storici lo hanno portato a notare che il sorgere di ondate di fervore religioso furono legate a fenomeni collettive di alterazione della psiche dovuti a sostanze prodotte nel mondo vegetale. Fin dal Libro dei Re, dagli scritti sacri degli antichi Persiani, e dalle testimonianze sui culti agrari della Roma arcaica, il barone ha trovato accenni ad antichi raccolti in cui si manifestarono alcune anomalie.
Lo sviluppo delle scienze naturali ha infatti rivelato che le colture cerealicole erano un tempo frequentemente contaminate da funghi parassiti, i quali inducevano nelle popolazioni che se ne alimentavano fenomeni di fervore religioso. Le processioni di flagellanti del XII secolo, le epidemie di Ballo di San Vito, le improvvise persecuzioni di presunti eretici, la riforma cluniacense, la Crociata dei Bambini, lo sterminio degli Albigesi in Provenza e dei Valdesi in Piemonte, le guerre hussite, il movimento anabattista, le guerre di religione: tutti i sommovimenti sociali a sfondo mistico che costellarono il medioevo e l’età moderna furono – secondo il barone – preceduti da infestazioni di parassiti dei cereali.
Il fenomeno è poco noto alla storia ufficiale e i nomi delle infestazioni dei cereali variavano da regione a regione: per esempio in Spagna si parlava di “Eczema di Maddalena”, in Alsazia di “Rugiada delle anime del Purgatorio”, nel libro di Adamo da Cremona di “Grano della misericordia”, nella zona di San Gallo di “Frate medicante”, in Boemia di “Carie di San Giovanni”, in Vestfalia di “Fuoco della Vergine”, nelle Alpi di “Neve di San Pietro” …
Ma ormai vi ho dato gli indizi per intuire quello che si prepara, amici lettori. Il libro vi condurrà attraverso una tensione crescente ad un catartico finale, che però prenderà una piega ben diversa da quella che desiderava il barone. Ci arriverete con grande divertimento, seguendo le vicende del giovane medico e della sua amica greca, anche lei coinvolta nel folle progetto.
Si tratta di un romanzo percorso da una vena di umorismo e da una storia d’amore, condotta con fine intuizione psicologica. “La neve di San Pietro” conserva la leggerezza e la vivacità della letteratura viennese degli anni spensierati che precedettero la Grande Guerra.
L’intreccio si dipana inesorabile come un meccanismo ad orologeria, eppure è pieno di inventiva e di colpi scena. È stata una lettura veloce e piacevolissima, che mi ha ricordato certi romanzi di Alexander Lernet-Holenia, del quale Leo Perutz fu amico e maestro.
Entrambi questi scrittori furono quasi dimenticati fin dal secondo dopoguerra, anche nel loro paese. Ma Adelphi li ha giustamente tradotti e riscoperti. Buon divertimento allora, amici lettori!
Per chi fosse eventualmente interessato, ecco i link alle precedenti recensioni:
– 1) “Storie e leggende napoletane”, di Benedetto Croce;
– 2) “Il monaco nero in grigio dentro Varennes”, di Georges Dumézil;
– 3) “I Vangeli Gnostici”, a cura di Luigi Moraldi;
– 4) “La Cripta dei Cappuccini”, di Joseph Roth;
– 5) “Fuga da Bisanzio”, di Iosif Brodskij;
– 6) “Andrea” o “I ricongiunti”, di Hugo von Hofmannsthal;
– 7) “Lo stampo”, di Thomas Edward Lawrence;
– 8) “Un altro tempo”, di Wystan Hugh Auden;
– 9) “Fuga senza fine. Una storia vera”, di Joseph Roth;
– 11) “Mysterium iniquitatis”, di Sergio Quinzio;
– 12) “L’altra parte”, di Alfred Kubin;
– 13) “Massa e potere” di Elias Canetti;
– 14) “Edda” di Snorri Sturluson, a cura di Giorgio Dolfini;
– 15) “In Patagonia”, di Bruce Chatwin;