di Alfredo Somoza
Vista dall’Italia, la vita sembra riprendere dopo l’incubo del Covid-19, ma nel resto del mondo non è affatto così. A distanza di mesi dall’inizio della pandemia, si possono valutare le conseguenze delle scelte che sono state fatte nei diversi Paesi, e soprattutto lo stato di salute delle società.
In Europa, il continente che più di ogni altro destina risorse alla sanità pubblica e al welfare, il diverso andamento della pandemia riflette le scelte politiche operate a livello nazionale. La strategia dello struzzo di Boris Johnson è costata al Regno Unito il triste primato continentale di vittime, ma anche i tentennamenti della Spagna, del Belgio e della Francia hanno avuto pesanti conseguenze. Molto si è parlato del modello svedese, che alla fine non si è dimostrato efficace, soprattutto a confronto dei due Paesi confinanti, Norvegia e Finlandia, praticamente non toccate dalla pandemia.
Fuori dall’Europa il caos, perché la diffusione del virus è stata potenziata da due fattori: la povertà delle popolazioni (e delle risorse sanitarie) e politiche assolutamente non all’altezza della situazione.
Tuttora i principali alleati del Covid-19 in Brasile, Perù, India sono la povertà dei cittadini, che significa mancanza di acqua pulita, di abitazioni decenti, di risparmi per fare fronte alla perdita del lavoro, e la mancanza di una sanità gratuita e accessibile.
Per quanto riguarda gli Stati Uniti, molto si è detto delle responsabilità di Donald Trump nella gestione dell’emergenza, senz’altro a ragione, ma poco si è riflettuto sul modello di società statunitense ormai frantumata in mondi non comunicanti, anzi ostili l’uno nei confronti dell’altro. Le resistenze a seguire le indicazioni elementari di prevenzione sono la conseguenza di profonde convinzioni, spesso basate sul sospetto e sulle più svariate teorie del complotto. La sanità pubblica, cannibalizzata negli anni dalle assicurazioni private e ulteriormente penalizzata da Trump, non è in grado di operare nessun tipo di intervento che non sia la fase ospedaliera, e anche questa non è a disposizione di tutti. E i poveri che vivono a Los Angeles in tende o in baracche, come quelli di Rio de Janeiro, non hanno la possibilità di attuare nessun tipo di distanziamento.
La pandemia, insomma, ha avuto lo stesso effetto del Luminol usato dalla polizia scientifica per rilevare tracce di sangue: ha messo a nudo gli sconvolgimenti sociali avvenuti negli ultimi decenni, quelli della scorpacciata ideologica anti-stato, della propaganda anti-istituzionale a prescindere, senza valutarne le conseguenze e senza prevedere una rete di protezione per i più deboli.
Sono stati decenni di populismo contro gli interessi del popolo, lo dicono i numeri, quando si va a vedere chi si è arricchito e chi, invece, si è impoverito. Si attacca la politica perché costa troppo, come se la democrazia avesse un prezzo. Intanto i paladini della nuova era, le grandi corporation, con la cosiddetta “ottimizzazione fiscale” pagano tasse ridicole o non versano proprio nulla all’erario degli Stati nei quali operano.
Paradossalmente la pandemia è servita per smascherare molte di queste ipocrisie, ma ha anche rafforzato la tendenza all’autoritarismo già in atto da prima. Nuovi e vecchi “uomini forti” si rinsaldano al potere in America Latina, Africa, Asia ed Europa dell’Est.
In diversi Paesi le misure messe in atto per contenere la pandemia sono servite per introdurre ulteriori leggi repressive. Molte elezioni sono state rimandate a data da destinarsi, molti Parlamenti sono chiusi o funzionano a malapena in streaming. Questa la sfida attuale per l’Europa: garantire la sicurezza sanitaria dei cittadini senza lasciarsi tentare dalla facilità con la quale si possono bypassare le regole democratiche. Salute e libertà, non salute o libertà.