Di rado una mostra gestita, voluta e finanziata da privati è scientifica, seria, con straordinari prestiti, una mostra che offre spunti di conoscenza e di riflessione. Accade a Milano.
“Serial Classic. Moltiplicare l’arte tra Grecia e Roma” curata da Salvatore Settis per la Fondazione Prada (largo Isarco, 2) ha questa caratteristiche, merito del Curatore e di chi gli ha affidato l’incarico.
Settis è uno dei nostri migliori studiosi di archeologia, ha diretto la Scuola Normale Superiore di Pisa, il Getty Center for the History of Art and The Humanities di Los Angeles, è stato componente di prestigiosi istituti di cultura, all’estero come in Italia, per esempio l’Accademia dei Lincei.
“La mostra – spiega Salvatore Settis – si apre con un’assenza”. Mancano i frammenti di statue bronzee di età classica di Olimpia, sono andate perdute tremila statue di bronzo. “Un vuoto, una perdita, un lutto” dice il curatore. Parte da questa osservazione per raccontare l’essenza della tutela, ma anche per spiegare quello che è accaduto alla statuaria greca e romana nel corso dei secoli: bronzo e marmi riciclati per nuove costruzioni, forse anche armi, per lo più per palazzi e chiese già a partire dal Medioevo. Una premessa per comprendere quanto poco sia rimasto oggi della produzione artistica dell’Antichità. Ne sopravvive solo il due per cento, un centinaio di pezzi!
Fortunatamente l’arte greca era molto amata dai patrizi romani. Grazie a loro sono state fatte una quantità notevole di COPIE, per lo più mantenendo vivo lo spirito e le intenzioni dei grandi maestri greci come Fidia, Mirone, Policleto.
Copie che oggi consentono di sconfiggere, soprattutto agli occhi di noi, uomini e donne del XXI secolo, un pregiudizio radicato : l’unicità dell’opera come prodotto utilitaristico e non come naturale espressione del bello. Anzi. E proprio la ripetitività ha consentito che quelle opere “incarnassero i valori collettivi” nel corso del tempo. Un concetto che ci appare più chiaro se pensiamo all’originalità e all’intrinseca bellezza della statuaria greca, ammirata oggi come negli ultimi venticinque secoli.
La conferma arriva dalla copia del Discobolo, il lanciatore del disco. Mirone creò la statua in bronzo nel 460-450 a.C.- L’originale è andato perduto, ma a partire dal II secolo d.C., nell’età di Adriano, i romani lo riproposero per decorare ville e giardini. In mostra, tra gli altri, c’è appunto il Discobolo recuperato a Villa Adriana a Tivoli nel 1721 e ora conservato nei Musei Vaticani.
Della Venere accovacciata sono sopravvissute quaranta copie dell’originale scolpita dallo scultore Doidalsas probabilmente nel 260 a.C. Una figura di grande sensualità, colta in un momento di intimità mentre si copre pudicamente.
Prassitele, vissuto nel quarto secolo a.C, avrebbe scolpito almeno tre copie del Satiro a riposo. In mostra le quattro copie romane recuperate a Castel Gandolfo nel 1657. Da Medma ( Rosarno, in Calabria), dalla Magna Grecia arrivano le copie in terracotta di busti femminili, oggetti di culto trovati nel 1912 nel Santuario di Calderazzo che era dedicato a diverse divinità: Atena, Hermes, ma soprattutto Persefone.
Negli sofisticati spazi della Fondazione Prada, firmati da Rem Koolhaas, si racconta anche di tre importanti esperimenti sul colore del bronzo in età classica. Il primo è il rifacimento del Dorifero di Policleto, realizzato nel 1910 dal tedesco Georg Roemer, il secondo è la replica dell’Apollo di Kassel, messo a fianco dell’originale e il terzo è il bronzo di Riace A (i due originali sono a Reggio Calabria). E’ un’opera di Vinzenz e Ulriche Brinkmann, due studiosi sul colore degli antichi bronzi. Sono loro ad aver formulato un’ipotesi sull’identità delle due statue di Riace.
Da attente analisi dei particolari dei Bronzi emergerebbe che si tratterebbe di una mitica “coppia”: due eroi di rango, uno Greco e uno Trace, Eretteo, re di Atene e il suo nemico Eumolpo, figlio di Poseidone. La loro lotta per la contesa dell’Attica è narrata da Tucidide.
E Pausania nel II secolo d.C. narra che sull’Acropoli di Atene c’erano due grandi statue. Ipotesi, certo, molto suggestive che aggiungono fascino e ridanno vita ai due giganti di Riace.
Daniela Annaro