La vera guerra al narcotraffico

di Alfredo Somoza

Il traffico di cocaina, si sa, è uno dei settori dell’economia illecita che più sono cresciuti negli ultimi 30 anni. Il mondo è stato ormai invaso dalla polverina bianca che vive una sua seconda giovinezza. “Seconda” perché la cocaina non è una droga nuova, come quelle di sintesi, ma ha una storia che risale al 1860, quando in un laboratorio tedesco venne isolato il principio attivo della foglia di coca. La cocaina – da non confondere con la foglia di coca, che contiene solo piccolissime quantità di questo alcaloide – si commercializzava in farmacia fino al 1920, quando l’ondata proibizionista la colpì insieme agli oppiacei.

Le cronache a cavallo tra la fine dell’800 e i primi del ’900 sono ricche di particolari sulla diffusione della droga che garantiva un rendimento intellettuale e fisico sopra la norma, per poi sviluppare velocemente una tossicodipendenza.

Il divieto di commercializzarla non frenò certò la sua diffusione nei decenni successivi, ma fu a partire dagli anni ’70 che la cocaina divenne una droga veramente globale, grazie alla produzione e alla commercializzazione gestite da cartelli mafiosi.

A differenza del papavero da oppio, che cresce in tanti luoghi del pianeta, la foglia di coca ha una sua “preferenza geografica” proprio per le zone di cui è originaria, i contrafforti andini del Sudamerica. I tentativi di coltivazione fuori da Bolivia, Perù e Colombia non hanno mai dato risultati prosperi. Ed è quindi in questi tre Paesi che si è giocata la “lotta” al narcotraffico: una guerra che da ormai tre decenni è la priorità della politica statunitense per l’America Latina.

Una guerra spesso di facciata, che è servita a giustificare la presenza di militari e di agenti della DEA (Drug Enforcement Administration, l’organismo anti-droghe di Washington) in zone ad alta densità di lotte contadine e a ridosso della foresta amazzonica con le sue infinite risorse. Le tecniche usate sono state la repressione militare e la fumigazione con potenti e cancerogeni diserbanti. La strategia si è rivelata fallimentare: non solo non ha ridotto la coltivazione illegale di coca, ma ha addirittura rinforzato i cartelli criminali che hanno raggiunto, come in Colombia, lo status di “padroni” di intere regioni. E questo è avvenuto senza che i coltivatori di coca ne traessero alcun vantaggio: anzi, i contadini sono stati vittime sia dei narcos sia degli eserciti per un misero guadagno, anche perché sono falliti pure i piani di riconversione.

Mancanza di infrastrutture, distanza dalle città, variazioni dei prezzi di mercato hanno storicamente impedito che il mondo rurale della coca illegale potesse serenamente trovare alternative. Solo negli ultimi anni qualcosa è cambiato, e proprio nel Paese dove erano nati i primi cartelli della droga, la Bolivia. L’attuale governo di Evo Morales, ex sindacalista dei coltivatori della coca, sta raggiungendo risultati significativi. Senza sparare e senza fumigare le piante, ma grazie a investimenti che in questi anni hanno superato il miliardo di dollari per convincere i contadini a riconvertire le piante di coca “eccedenti”, cioè quelle la cui coltivazione non è giustificata dal fabbisogno del mercato legale.

La superficie coltivata a coca in Bolivia è così calata da 31.000 a 20.000 ettari in soli sei anni. Un’estensione che si avvicina di molto a quella ritenuta necessaria per soddisfare il solo consumo tradizionale della foglia, pari a 14.000 ettari. L’abbandono delle coltivazioni di coca è dovuto anche a politiche pubbliche che hanno offerto ai lavoratori concrete alternative, attraverso la costruzione di infrastrutture per il trasporto e la commercializzazione di prodotti agricoli, la formazione tecnica, le nuove industrie di trasformazione alimentare.

Nel frattempo in Colombia, dove da anni si è scelta la “linea dura”, i terreni coltivati a coca sono aumentati da 46.000 ettari a 96.000. E questo nel Paese nel quale gli Stati Uniti negli ultimi decenni hanno speso miliardi e miliardi di dollari per estirpare il problema.

Se l’assioma “dove c’è la mafia non c’è sviluppo” risponde al vero, è vero anche il contrario: dove c’è sviluppo le mafie perdono terreno. La Bolivia è ora impegnata nella depenalizzazione dell’uso della foglia di coca per alimenti e prodotti farmaceutici, come ulteriore passo verso la totale eliminazione delle coltivazioni illegali. La battaglia condotta da un Paese piccolo e povero si sta dunque dimostrando vincente: una lezione pratica per i sostenitori del proibizionismo repressivo, che finisce per foraggiare le mafie senza risolvere il problema.

Immagine e testo tratti da https://alfredosomoza.com/
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