L’abitudine di non andare al mare

di Eleonora Duranti

E’ un peccato che Winslow Homer venga poco ricordato per i suoi acquerelli. Traendo spunto dalle scene di vita quotidiana e dai paesaggi che lo accompagnano nei suoi viaggi, egli è abilissimo osservatore; discreto, infatti, si intromette nelle vicende altrui estraendone tutta la poeticità nascosta.

 

L’acqua mi fa paura.

Diffido di ciò che è liquido, instabile, mutevole…

Inconsistente.

Perché mi disorienta. Mi turba…

Mi rende nervosa.

Ho fondato la mia vita su punti fermi. Ho costruito la mia casa su un terreno solido. Depositato i miei risparmi su un conto sicuro. Assicurato la mia auto.

Ogni mattina, mi alzo alla stessa ora e faccio colazione con la stessa marca di marmellata e fette biscottate.

La mia toeletta si compone delle medesime azioni, rispettando le medesime tempistiche…

Ogni giorno.

Tutti i giorni.

Mi reco al lavoro passando per i soliti incroci e attraversando il solito parco, svoltando a destra dopo il chiosco dei giornali e ignorando i pendolari in attesa alla fermata.

In ufficio, siedo sempre alla stessa scrivania, utilizzo sempre la stessa stilografica e pranzo sempre allo stesso posto, ordinando il solito tramezzino prosciutto e formaggio e occupando il solito tavolino nell’angolo.

La sera, la strada del ritorno è la medesima dell’andata. Solo…all’inverso.

Ceno al solito orario, mentre guardo il solito quiz di logica alla televisione.

Infine, rammendo la solita biancheria, recito le solite preghiere e mi corico al solito rintocco.

La mia, è un’esistenza scandita da abitudini. Che, seppur banali e monotone, sono certezze.

Sono una persona semplice. Ordinaria.

Non amo le sorprese e mi guardo bene dagli strappi alla regola e dai colpi di testa!

C’è chi resta a galla anche nell’imprevisto…

Io no.

Io non so nemmeno nuotare dove si tocca!

Temo che la colpa sia delle estati trascorse sulla costa, quando noi bambini benestanti venivamo spediti in collegio.

Ricordo che, la domenica, miss Jewell e mr Briant organizzavano un pic-nic in spiaggia, dopo la funzione del mattino…

I miei coetanei si liberavano delle scarpe e correvano a perdifiato lungo la battigia, smaniosi di sguazzare come anguille tra le onde. Katy non si vergognava a tirar su le gonne per cercare conchiglie e cocci di bottiglia e Lucy la imitava, corrucciandosi a non trovare esemplari ugualmente preziosi. Henriette, invece, si teneva calcato in testa il suo strano cappello orientale e si faceva aria, di tanto in tanto, con il suo ventaglio di piume.

Neppure a lei il mare piaceva…

Però lo sopportava.

A differenza mia.

Per me, era una tortura anche solo scendere la scogliera e arrivare alla passerella!

L’odore di salsedine mi faceva attorcigliare lo stomaco; la nausea mi tormentava fino al tramonto e sudavo freddo, sul carretto che ci riportava alla residenza, a immaginare le uova e la pancetta rivoltarsi nella mia pancia e spiattellarsi sulla giacca del povero Lawrence.

Oggi, non vado mai sulla costa…

È una delle mie abitudini. Una delle più salde. Delle sempiterne.

Sarei folle, se scombussolassi la mia quotidianità perfetta per un po’ d’acqua.

Per rimanere terrorizzata, con i miei calzari, il mio bel fiocco e il mio vestito rosso, dalla vastità dell’oceano.

Winslow Homer, Scena balneare, c. 1869

[Winslow Homer, Scena balneare, 1869. Olio su tela, 29,3×24 cm. Madrid, Museo Nacional Thyssen-Bornemisza.]

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