di Francesca Radaelli
Si rimane con l’amaro in bocca quando il sipario si chiude sui “Lacci” portati sul palcoscenico dalla compagnia di Silvio Orlando, in questi giorni al Teatro Manzoni di Monza. In poco meno di due ore va in scena la progressiva rivelazione del fallimento di una famiglia in apparenza tranquilla ed equilibrata, una ‘catastrofe’ che si manifesta a distanza di circa trent’anni da una crisi che ormai sembrava sopita e risolta, quando i genitori sono già anziani e i figli adulti.
Adattamento teatrale del romanzo omonimo del celebre scrittore napoletano Domenico Starnone, oltre che per la bravura degli attori – tra cui Silvio Orlando, nella parte del padre e marito Aldo, ma anche la meno conosciuta Vanessa Scalera, davvero intensa in quelli della moglie e madre Wanda – lo spettacolo si caratterizza per lo svolgimento su tre diversi piani temporali, proposti in un ordine che non coincide con quello cronologico. Il tempo del tradimento e della crisi, collocato nei lontani anni Sessanta, quando Aldo, giovane marito e padre di due figli, abbandona la famiglia per vivere un amore fortissimo con una ragazza molto più giovane di lui: gli eventi vengono raccontati – in modo molto efficace a livello scenico – attraverso le lettere disperate e piene di sofferenza che Wanda scrive al marito lontano.
Quindi il tempo dell’ipocrisia, quando la coppia, ormai anziana e tenuta insieme da ‘lacci’ che non sono certo quelli dell’amore, si trova di fronte alla propria casa messa a soqquadro, probabilmente dai ladri. Dal disordine improvviso che mette sottosopra il loro piccolo mondo borghese, squadernandolo letteralmente, Aldo e Wanda si trovano a fare nuovamente i conti con il passato. Con le lettere che si sono scambiati nel momento della loro crisi. Con le fotografie dell’antica amante che Aldo continua a conservare, pur nascoste in un improbabile cubo blu che ricorda molto un’urna funeraria. Persino con le vere ragioni del nome che Aldo ha deciso di dare al loro gatto…
Ma il vero colpo di scena avviene nel terzo piano temporale, che precede cronologicamente il secondo e che mostra le vere cause da cui è scaturito il disordine nella casa. Ed è proprio allora, con l’entrata in scena dei figli della coppia, che si rivela tutta la tragica ipocrisia su cui la famiglia di Aldo e Wanda si è sempre fondata. E si comprende che all’interno dei ‘lacci’ familiari non c’è spazio per i sentimenti autentici.
La vicenda di una famiglia attraverso cui passa la destrutturazione dell’istituzione stessa della famiglia. Che, sembra dire Starnone, per stare in piedi non deve fondarsi sull’amore, ma piuttosto sul non detto e sulla negazione di ogni sentimento autentico. E così Aldo dopo una scappatella durata qualche anno ritorna in seno al nucleo familiare, chiamato dalla moglie alla sua responsabilità di padre. La famiglia è salva, dunque. Non proprio in realtà. Perchè i bambini di allora diventeranno adulti pieni di rancore nei confronti di quei genitori che hanno rinunciato alla propria felicità esattamente per non tagliare i legami familiari.
Non mancano momenti esilaranti nei dialoghi tra i personaggi, in particolare all’interno degli scambi di battute tra Aldo e il vicino di casa accorso in aiuto, né manca l’ironia sferzante cui Silvio Orlando ha abituato il proprio pubblico. Però, a spettacolo concluso, a prevalere è un profondo senso di tristezza. Nessuno dei personaggi, in fondo, sembra salvarsi. E a impedirlo sono proprio i ‘lacci’ invisibili che li tengono gli uni uniti agli altri.