Dalla sede del Comune al Centro di via Spallanzani, (luogo dove solo accolti alcuni dei 1200 richiedenti asilo ospiti di Monza e Brianza), la croce di Lampedusa è giunta nel Duomo di Monza, ultima tappa del suo pellegrinaggio brianzolo. Ieri sera meditazione e preghiera accompagnati dai suggestivi canti del coro del Duomo. Ma soprattutto i presenti sono rimasti commossi per la testimonianza di Pietro Bartolo, medico di Lampedusa, “il dottor speranza” (così vogliamo chiamarlo perché grazie alla sua generosità ha salvato tantissime vite umane e ha infuso speranza ai disperati giunti dal profondo dell’Africa, dall’Oriente, da tutto il mondo).
Una testimonianza forte, commovente che ci rende consapevoli della tragedia del Mediterraneo. Le storie dei migranti si somigliano. Un esodo dalla fame, dalla guerra, dalla tortura. Un cammino di migliaia di chilometri lungo il deserto irto di pericoli e di cose terribili, compreso il commercio di organi a cui si sottopongo molti giovani africani costretti a vendere un rene o altro per poter continuare a sperare.
Dopo l’attraversata del deserto l’inferno della Libia. Qui un profugo vi rimane dai sei mesi ai due anni. Gli uomini di colore sono trattati come schiavi e le donne sottoposte a torture e violenze inenarrabili. Quando finalmente un migrante trova un barcone diretto in Europa, ci vogliono 6/7 giorni per arrivare a Lampedusa.
“Quando salgo su questi barconi – racconta il medico – per l’ispezione di rito imposta dalla legge, sono avvolto dall’angoscia. Incontro uomini disperati, donne, bambini ricolmi di sofferenza. I loro sguardi, pieni, di speranza e di dolore sono indimenticabili. La notte spesso ho incubi perché ripenso a coloro che non ce l’hanno fatta.
I lampedusani meriterebbero il premio Nobel: non hanno mai protestato malgrado che il turismo abbia subito una grave battuta d’arresto. Pronti ad accogliere, perché i lampedusani sono pescatori e per i pescatori il mare è vita, ricchezza. Il pescatore accoglie tutto ciò che arriva dal mare.”
Ha salvato tante vite umane “il dottor speranza”. Quando una magrebina con un filo di vita ha partorito la sua bambina nell’ambulatorio di Lampedusa, nella sala d’aspetto c’erano 64 donne dell’isola che attendevano la buona notizia e quando è giunta sono corse a portare vestitini, culle, pannolini, passeggini, tutto il corredo per festeggiare la nuova nascita, la nuova speranza. Chi salva una vita salva il mondo intero!
“Dobbiamo abbattere i muri mentali – dice il dottore – Queste persone scappano da un mondo terribile per raggiungere l’Europa, la patria della civiltà. Non è umano, non è da europei erigere muri e filo spinato”.
L’Europa è nata anzitutto per favorire la libera circolazione di merci e persone, limitarla per paure più o meno giustificate, significa negare l’ideale europeista.
Fabrizio Annaro
La croce ha pellegrinato a Monza dal 13 maggio a domenica 22. Una croce moderna e densa di significato, realizzata da un falegname lampedusano con i resti del legno dei barconi dei migranti approdati sull’isola.
Un giorno le assi di un barcone proveniente dalla Somalia giacevano abbandonate alla deriva nel mare di Lampedusa: guardandole, a Franco Tuccio, falegname da vent’anni, sembrò che nell’acqua si fosse formata una croce. Di qui ebbe l’idea: realizzare piccole croci con il legno delle barche, un legno intriso di sofferenza, proprio come quello del simbolo venerata dai cristiani.
Accadeva nel 2009. Nell’aprile del 2014 a Roma, in piazza San Pietro, papa Francesco benedice la Croce di Lampedusa, formata da due assi di legno di 2,80 metri d’altezza per 1,50 e dal peso di 60 chili, e manifesta l’auspicio che la Croce possa raggiungere città e luoghi di tutto il mondo: nasce così, con l’obiettivo di testimoniare il senso del dolore e infondere un impulso di rinnovamento spirituale, l’iniziativa “Portatela ovunque. Il Viaggio della Croce di Lampedusa”, promossa dalla Fondazione “Casa dello Spirito e delle Arti” .
Francesca Radaelli
Foto nell’articolo di Emanuele Patrini e Giovanna Monguzzi