L’anno che si chiude

di Alfredo Somoza

Il 2017 che si chiude è stato un anno ricco di eventi internazionali, di svolte e di sorprese. Il conflitto mediorientale ha prodotto ancora morti e distruzione: ma, se fino al 2015 il protagonista era stato l’ISIS, dal 2016 sono tornate in campo le potenze mondiali, Stati Uniti e soprattutto Russia. L’alleanza operativa tra Russia, Turchia e Iran, che ha coinvolto anche gli Hezbollah libanesi e i curdi, è infatti riuscita a riconquistare le principali città cadute nelle mani dello Stato Islamico. Riemergono ora i problemi mai risolti sul piano politico: il ruolo del presidente siriano al-Assad e quello dell’opposizione, la ricerca di risorse per la ricostruzione, il ritorno dei profughi, il mutato equilibrio tra sciiti e sunniti. La svolta bellica è avvenuta anche nel vicino Iraq e il “corridoio sciita”, prima interrotto dall’ISIS, è tornato agibile. L’unica potenza regionale uscita vincitrice da questo conflitto è stata l’Iran, mentre la Russia ha segnato altri punti per la sua riqualificazione a potenza mondiale.

Uno scenario, quello mediorientale, nel quale la democrazia e il rispetto dei diritti umani, storici paraventi per le scorribande neocoloniali, sono ormai sfumati. Si rinforzano gli Assad e gli al-Sisi, i Talebani diventano interlocutori sempre meno nascosti in Afghanistan, l’autoritario Erdogan riesce con una capriola a passare dalla parte dei vincitori mentre l’Arabia Saudita, ridimensionata nella Mezzaluna fertile, si impantana nello Yemen.

In Europa la costruzione comunitaria traballa e si riaccendono paure di ritorni a un passato che si pensava sepolto. La Brexit, la crescita dei partiti estremisti, la fine annunciata dell’ideale europeista mettono a nudo l’inconcludenza di una politica che si è accontentata di gestire l’esistente, dimenticandosi delle sofferenze, delle paure, dei bisogni dei cittadini. Cittadini sempre più esclusi dal dibattito relativo all’economia e alla globalizzazione, ma che detengono ancora l’arma più efficace per punire o premiare: il voto. Proprio il voto, nei principali Paesi, ha premiato la continuità: in Francia e Germania non ci sono state le tanto temute avanzate delle destre, se non in misura ridotta. Ma la situazione rimane in bilico, sarà l’andamento dell’economia a farla pendere da una parte o dall’altra.

L’evento che ha creato più rumore mediatico in assoluto è stato il rodaggio del nuovo presidente degli Stati Uniti Donald Trump, che è riuscito nell’impresa di rafforzare il sistema dopo essersi presentato come candidato antisistema. Lo ha fatto abbassando le tasse alle corporation e ai ricchi, investendo cifre multimiliardarie nell’industria bellica, allentando le briglie della finanza. Con Donald Trump torna il protezionismo, dicono in molti. Ma finora alle minacce non sono seguiti i fatti, se non per lo stop al TTP, l’accordo commerciale del Pacifico negoziato da Barack Obama. Le grandi sfide sono ancora irrisolte: la rivisitazione del Nafta con Canada e Messico langue sui tavoli negoziali, mentre il bilanciamento dei rapporti commerciali con la Cina è stato rimandato a dopo la soluzione della crisi con la Corea del Nord.

La crisi coreana ha messo a nudo l’impotenza degli Stati Uniti quando di fronte a sé trovano un Paese che possiede la bomba atomica, e che è difficile credere stia procedendo in totale autonomia, ovvero senza consigli da parte di Pechino. In Cina, dopo il congresso del Partito Comunista, la leadership del presidente Xi Jinping è ormai fuori discussione: sarà lui a traghettare il gigante asiatico alla guida del mondo della rivoluzione tecnologica annunciata, insieme agli Stati Uniti.

Il 2017, insomma, è stato un anno pieno di segnali contrastanti. Il terrorismo fa meno paura, in Oriente si consolida l’economia, in buona parte dell’Occidente si riparte dopo la crisi. Ma restano sul tavolo i grandi problemi di questa fase storica: la mancanza drammatica di una governance mondiale, l’emergenza ambientale mai affrontata seriamente, la questione della democrazia sempre più a rischio. L’auspicio è che si torni a “pensare lungo”, uscendo dalla logica dell’emergenza per tornare a fare politica globale. Da un mondo apparentemente caotico sta uscendo un ordine non proprio esaltante, quello della prevalenza di chi è più forte militarmente. L’economia da sola si è rivelata insufficiente nel ridisegnare il futuro, ora ci vuole il ritorno della politica e, attraverso di essa, dei cittadini che agiscono sul locale guardando al globale.

 

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