L’assalto al Campidoglio

di Alfredo Somoza

Gli inediti fatti di mercoledì 6 gennaio nel Parlamento statunitense, qualificati come “insurrezionali” dal presidente eletto Joe Biden, arrivano dopo anni di preparazione culturale e politica che hanno portato allo sdoganamento delle idee di infime minoranze, diventate la base per una nuova narrazione politica.

I cosiddetti “alternative facts”, cioè la realtà parallela e immaginaria, sono diventati l’unica verità per milioni di persone. Fatti alternativi, conseguenze alternative. Esistono due realtà in questo momento negli Stati Uniti, quella “reale”, che vede la vittoria del candidato democratico e quella “alternativa”, nella quale ha vinto Trump. Ritenuta vera quest’ultima dal 40% degli elettori repubblicani secondo un sondaggio fresco di giornata.

Trump non è un folle isolato alla Casa Bianca, ma rappresenta milioni di persone che credono e vivono in quella “realtà alternativa” che è alla fine dei conti una fuga dalla realtà. Anche perché si rifiuta il confronto o anche lo scontro con l’avversario per rifugiarsi in una realtà costruita secondo la propria volontà e quindi, per definizione, inattaccabile.  

Nel mondo di Trump non si perde, si è vittima di complotti; le cose non sono complesse, sono sempre manipolate; non contano i meriti o gli studi, basta l’intuito. Un mondo nel quale la cura per il Covid c’è da tempo ma “non vogliono farlo sapere”, dove meglio stare alla larga dai vaccini e non indossare mascherine, nel quale meglio non fidarsi mai dallo Stato, ma anzi armarsi per difendersi; dove il mondo è sotto il controllo di bande di pedofili assassini; dove siamo vittime di un grande complotto che vorrebbe vederci tutti infelici, meticci e schiavi di un grande puparo. Il mondo di Trump è orrendo perché senza speranza, ma più orrendo ancora che milioni di persone la pensino come lui, e non solo negli Stati Uniti.

In queste ore i commentatori, tutti, parlano dello stato della “democrazia americana”, intendendo quella degli USA. In realtà ciò che sta succedendo a Washington capita in molti altri paesi americani, europei, asiatici e africani. La mancanza di riconoscimento reciproco tra le parti, con poche eccezioni, ha fatto cambiare pelle al dibattito politico, dove non si combatte più sul piano delle idee, ma su quello della legittimità.

Si mette a rischio la continuità istituzionale, i vincitori criminalizzano i predecessori e i perdenti non riconoscono la sconfitta. Sono scomparse la critica e l’autocritica, se qualcosa non va è stato un complotto. Si ha una politica sempre più simile al calcio, e tutto ciò alla fine indebolisce la democrazia.

Impariamo dai fatti di Washington, perché il tarlo che sta erodendo la democrazia non è soltanto un problema del continente americano. 

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