Lauda e Merzario, un’amicizia nata in curva

di Giacomo Orlandini

L’avversario in pista è un nemico da battere. Se poi quel nemico ti ha soffiato il posto l’anno prima in una scuderia che amavi, diventa doppiamente tale e devi sconfiggerlo. Era la filosofia degli anni Settanta in Formula 1, e Arturo Merzario il nemico lo conosceva bene: era Niki Lauda.

L’austriaco, infatti, arrivò alla Ferrari nel 1974 soffiando il posto a Merzario, che dovette cercare un’altra scuderia per la stagione.  Merzario era un bravo  pilota: dal 1972 aveva gareggiato nei circuiti di Formula 1 con diverse scuderie, tra cui la Ferrari. Niki era un giovane emergente che sfidava i piloti già affermati Era determinato e preparato sotto tutti i punti di vista. Non era il più veloce, ma la sua intelligenza tattica lo ha reso un campione. Due anni dopo, durante il GP di Germania al Nürburgring, (Lauda con la Ferrari di Merzario aveva già vinto un mondiale e stava dominando il secondo), avvenne il terribile incidente. Poco prima della corsa, la pioggia aveva reso i 22,835 km del tracciato insidiosissimi. Nonostante la sollecitazione di qualche pilota, la direzione optò per scendere in pista. Tra i meno convinti c’era anche Niki Lauda. Dopo soli tre giri  un evento cambiò la Formula 1. Poco dopo la curva di Bergwerk, Lauda perse il controllo della sua monoposto, la Ferrari 312 T2, schiantandosi contro una parete rocciosa prima di essere rimbalzato in pista. Nel colpo perse il casco e la sua vettura, colpita da altre due, prese fuoco. Il pilota austriaco, ancora cosciente, venne avvolto dalle fiamme. Passò qualche secondo e sul luogo dell’incidente arrivò anche Arturo Merzario. Sarebbe potuto andare oltre, ma d’istinto si bloccò e scese per soccorrere il suo collega intrappolato. Ecco cosa dirà anni dopo:

Arrivato alla curva di Bergwerk ho visto l’apocalisse: non avevo certo tempo per riflettere. C’era un essere umano in pericolo di vita e dovevo prendere una decisione fondamentale per la sua esistenza. E la presi scendendo dalla mia auto, buttandomi tra le fiamme per cercare di salvarlo e riuscendoci. Punto. L’avrei fatto per chiunque, per il migliore amico, per uno che mi stava sul cavolo o per un altro indifferente. Sono attimi particolari in cui si è uomini o non lo si è,  tutto qui.” 

Dopo di lui si fermarono altri due piloti: con gli estintori gli aprirono un varco in quell’enorme falò. Arturo cercò di liberarlo ma non riuscì subito a sbloccare la cintura perché Niki si dimenava. Improvvisamente Lauda crollò, perse i sensi, le esalazioni di magnesio lo stavano uccidendo. Merzario ne approfittò: si gettò tre volte tra le fiamme e finalmente liberò il pilota dalle lamiere.  Per fortuna, nel ’65, l’eroe aveva frequentato un ciclo di lezioni di primo soccorso: gli fece il massaggio cardiaco e la respirazione artificiale. Rimase in vita così, finché non arrivarono i soccorsi. Lauda venne trasportato in tre ospedali differenti, aveva uno zigomo fratturato, ustioni di primo grado alle mani e di terzo grado al volto.

Per tutto il pomeriggio piloti, staff, moglie e familiari rimasero con il fiato sospeso temendo il peggio. Poi arrivò il bollettino positivo che allontanava il rischio di morte, ma consegnò un Lauda a pezzi che avrebbe dovuto affrontare una lunga e difficile riabilitazione. L’austriaco rischiava seriamente di non poter più gareggiare. Il medico disse di non poter fare nulla: il problema non erano le bruciature ma le esalazioni, i gas che aveva respirato. Se Niki voleva vivere, avrebbe dovuto cercare di restare sveglio e lottare. Mentre il medico diceva così, Niki, lo raccontò lui stesso in seguito, era cosciente e sentiva tutto.

Fu allora che cominciò la sua lotta personale per sopravvivere e tornare in pista. Il 12 settembre 1976, appena 42 giorni dopo il rogo del Nürburgring, Niki Lauda si ripresentò in pista e tagliò al quarto posto il traguardo del Gran Premio di Monza. “Era nella sua indole, noi correvamo per passione” afferma Merzario. Quell’anno avrebbe vinto il suo storico rivale James Hunt, ma la stagione successiva lo vide ancora vittorioso. Fu il secondo dei suoi tre titoli mondiali.

Dell’incidente si sa ormai quasi tutto: sono stati scritti libri, realizzati documentari, inchieste e film. Ciò che è successo dopo tra i protagonisti della vicenda è meno noto. Dopo essere tornato in pista a Monza, Lauda non si fermò a salutare Arturo, che ci rimase male e lo disse pubblicamente. Due mesi dopo Merzario stava gareggiando in Austria, vicino a casa di Niki. Egli venne a trovarlo e fece il gesto di togliersi l’orologio per regalarglielo. Lui lo prese e lo lanciò via. I meccanici della sua scuderia lo raccolsero e lo rimproverarono, “forse avevo sbagliato, ma io c’ero rimasto male” dice Arturo. E l’orologio? Alla fine chi l’ha preso? “Abbiamo promesso di non rivelarlo”. I rapporti tra lui e il Niki sono migliorati nel 2006, quando venne organizzata una cerimonia al Nürburgring, nel trentennale dal salvataggio dal rogo di Bergwerk: La curva dello schianto, che è stata rinominata Laudakurve.

Lauda ringrazia Merzario

Niki ha impiegato tre decenni per ringraziare Arturo per quel gesto che gli ha salvato la vita. Dopo questo incontro, tra loro è nato un altro rapporto. “Eravamo nemici-amici. Nelle competizioni eravamo super nemici ma nel privato eravamo molto amici. Ci siamo sentiti nel tempo, l’ultima volta un mese prima della sua morte. Era molto affaticato” – aggiunge Merzario – “Siamo due tipi molto diversi, ma lo ritengo uno per cui provo qualcosa di forte, di intenso. E lo considero un uomo molto intelligente, scaltro e dalla personalità forte. E poi, non c’è niente da fare, al volante di una monoposto di Formula uno Niki è uno che indiscutibilmente sa guidare”.

Oggi Merzario ha 76 anni e lo si vede a volte gironzolare nei circuiti automobilistici con in testa un vistoso cappello da cowboy. L’ex pilota austriaco Niki Lauda, invece, è morto  il 20 maggio 2018 all’età a 70 anni. Il prossimo weekend (7-8 settembre ’19) si svolgerà il 43° GP di Monza dal suo miracoloso rientro in pista. In quarantatré anni la formula uno è cambiata molto, soprattutto in termini di sicurezza. Ciononostante una settimana fa, durante il GP del Belgio, ha perso la vita il ventiduenne Anthoine Hubert in uno spaventoso incidente in gara di Formula due. A nulla è valso l’intervento dello staff medico, né la corsa in ospedale.

Trovare le parole per raccontare l’incidente del 1° agosto 1976 non si può. Cercare di dare un senso alla scomparsa di un ragazzo di ventidue anni forse ancora meno, se non con una parola semplice ma forte: passione. Chi fa il pilota sa cosa vuol dire. Forse è incomprensibile a molti, ma ben chiaro a loro che, abbassando la visiera, entrano in quella modalità, disumana, essenziale, l’unica che conoscono: spingere al limite, senza dubbi, per andare più forte possibile. A Monza si corre per ricordare, celebrare, vincere, ma soprattutto per sfrecciare il più velocemente possibile, rischiando. Era quello che Anthoine amava fare più di ogni altra cosa, quello che noi amiamo in modo viscerale e che ammiriamo  in questi ragazzi.

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