di Alfredo Somoza
Lo statunitense Paul Singer, 69 anni, ha una fortuna personale valutata in 1,2 miliardi di euro grazie alla proprietà del Fondo Elliott Capital Management, gestore di 11 miliardi di dollari. Attraverso la Elliott, Singer opera sul mercato del debito sovrano in sofferenza, acquistando quando i bond sul debito sono sottovalutati per poi tentare la causa contro lo Stato emittente per incassare il valore nominale più gli interessi. Grazie a questa “specialità”, il suo fondo è stato battezzato “avvoltoio”, nel senso che si ciba di cadaveri, cioè di debiti di paesi falliti, dando il colpo finale a economie già duramente provate. Ovviamente a questo campione e grande finanziatore del Partito Repubblicano statunitense, sensibile solo ai diritti dei gay per motivi familiari, non preoccupa aggiungere sofferenza a sofferenza togliendo risorse utili alla ricostruzione di una società. Non sono questi i problemi che si pone Paul Singer che ha un carniere ricco di prede. Negli anni ‘90 acquisì debiti dello stato peruviano per 8 milioni di euro riuscendo, tramite una causa, a farseli pagare 43. E non solo America Latina, anche uno dei paesi più disperati al mondo, il Congo, ha dovuto rimborsare a Singer 67 milioni su fondi pagati 15. Con l’Argentina, questo avvocato laureato a Harvard ha fatto il colpo grosso. Nel 2008 il suo fondo NM Capital rastrella sul mercato secondario titoli argentini “spazzatura”, svenduti cioè da creditori che non volevano aderire al concambio offerto da Buenos Aires, per un controvalore di 48,7 milioni. Poi denuncia il paese davanti al Tribunale federale di New York del suo amico, il Giudice Thomas Griesa (84 anni, nominato da Richard Nixon), insieme ad altri due fondi come il suo. Dopo anni di dibattimenti, rinvii, tentativi di mediazione si arriva alla sentenza del 2013 nella quale l’Argentina viene condannata a pagare ai fondi l’intero capitale nominale più gli interessi dei titoli in loro possesso. Sentenza che viene confermata dalla Suprema Corte statunitense due mesi fa. A questo punto, i circa 50 milioni di dollari diventano 832 (+ 1608%). Un affare tondo per il fondo di Singer e una sentenza che crea giurisprudenza in un paese che si basa sul diritto consuetudinario. Una sentenza che dal punto di vista tecnico, crea un precedente pericolosissimo perché rende impossibile ristrutturare un debito in default. Oggi l’Argentina, forse a brevissimo il Porto Rico (Stato libero associato agli USA dell’area dollaro) e poi la Grecia, l’Italia… Dal punto di vista politico, questa vicenda premia i fondi speculativi considerati una delle principali cause della crisi economica nella quale il mondo è precipitato dopo il 2008. Un mercato finanziario deregolamentato, di mani libere per intervenire sull’economia spingendo l‘acceleratore sul rischio e sfruttando le disgrazie altrui. Se c’è una riforma urgente da fare ora è la chiusura del mercato secondario del debito sovrano ai fondi speculativi e soprattutto non emettere più debito sotto la giurisdizione statunitense. Ma come sappiamo, le riforme sono sempre difficili quando anche la politica dipende dalla grande massa di risorse e di mezzi che sposta la speculazione. Paul Singer può essere contento, il suo motto “mettere la massima pressione sulla preda” è funzionato. Ha piegato uno Stato e anche il 93% dei creditori dell’Argentina che avevano accettato le condizioni, rispettate dal paese sudamericano, per riavere indietro almeno una parte dei loro risparmi. Le ripercussioni sociali, economiche, politiche e umane di questo nuovo default al quale è stata spinta l’argentina non sono un problema di Singer, lui fa parte a pieno titolo di quel famoso 1% dell’umanità.
Alfredo Somoza