di Roberto Dominici
L’ anima ferita non guarisce mai del tutto, le resta sempre accanto un’ombra
Sul problema della depressione avevo già scritto sulle pagine del Dialogo (Depressione: il male oscuro dell’anima), in occasione della Giornata mondiale della Salute dell’OMS.
Un’occasione per fare il punto delle azioni globali su specifiche malattie o problematiche, e proprio quest’anno la scelta è caduta sulla depressione.
Sul tema ha scritto anche il direttore Fabrizio Annaro stimolato da un incontro sul tema tenutosi a Monza, ad indicare la grande attenzione ed importanza che merita un argomento così delicato e complesso. Avevo concluso il mio precedente articolo riportando le parole di Patch Adams in proposito “E’ più facile liberarci del problema dando una diagnosi e una scatola di farmaci. Perché se cominciassimo a parlare di solitudine, sapremmo, per certo, che non ci sono farmaci che tengano, basta l’Amore umano”.
Di fronte al “male oscuro” che può essere scatenato da molte gravi situazioni esistenziali (che si innestano su persone fragili o predisposte da fattori biopsicosociali) come per esempio l’essere stati abbandonati o la perdita della persona amata, si vive sulla propria pelle la dimensione della tristezza infinita, dello smarrimento, del sentirsi dentro la testa solo un peso enorme che schiaccia e annulla ogni slancio e speranza di vita.
Le depressioni colpiscono dal 20 al 25 % della popolazione. Una percentuale enorme, ma gli individui che richiedono per le forme gravi trattamenti farmacologici intensi sono pochi; la maggior parte di essi ha bisogno più che altro di colloquio e psicoterapia. Le depressioni gravi non sono superiori al 2% della popolazione, ma quelle non psicotiche, le forme di tristezza al confine fra la normalità e la sofferenza psichica, raggiungono il 20-25 %. Una persona su quattro nel corso della vita vive episodi depressivi, che tendono a risolversi. Quando io precipito in una condizione depressiva, l’impulso a guardare dentro di me cresce vertiginosamente. Quando la tristezza scende dentro di noi, percepiamo distintamente la differenza fra le cose essenziali e quelle inessenziali, mentre la quotidianità le confonde. La depressione ci spinge a cogliere fino in fondo quello che viviamo, e allora aumenta anche la nostra capacità di conoscere gli altri, le loro maschere, i loro inganni. L’essere dominati dalla sofferenza implica che da una parte cresce l’impulso a guardare dentro di noi e a prendere coscienza di ciò che siamo, dall’altra cresce la sensibilità a distinguere nelle parole che ascoltiamo e nei gesti altrui l’autenticità o la mancanza di sincerità.
Quando un componente di un gruppo si ammala di depressione, il suo malessere riguarda e coinvolge l’intero gruppo. A questa regola non sfugge il gruppo “famiglia”. La sofferenza della persona colpita agisce come un’onda d’urto nel contesto in cui l’individuo è inserito: la sofferenza di un figlio, di una madre, di un padre coinvolge, e sconvolge al tempo stesso, l’intero nucleo familiare. Se nel mondo animale tali situazioni si risolvono col prevalere dell’istinto di sopravvivenza del gruppo e il conseguente abbandono del membro malato, l’uomo deve adottare ben altri comportamenti e strategie per salvaguardare la sopravvivenza del gruppo e dell’individuo malato. Le persone che vivono a stretto contatto con un depresso si trovano spesso in difficoltà, non sanno come affrontare la situazione e soffrono quasi quanto la persona malata, non sanno quale comportamento più adatto scegliere per aiutare il loro congiunto.
Per tale motivo esistono associazioni e gruppi di aiuto condotti da terapeuti che incontrano i familiari che sentono la necessità di condividere con altri le difficoltà presenti nel rapporto con un familiare depresso, trovando uno spazio d’accoglienza e di scambio tra sofferenze diverse che desiderano dialogare e confrontarsi partendo dal bisogno di informazioni e dalla ricerca di risposte, oltre che per un desiderio di condivisione e di sostegno.
La depressione è anche lo specchio del disagio e della sofferenza presente nella nostra società e nel nostro tempo. Come ha scritto il sociologo Aldo Bonomi insieme al grande psichiatra Eugenio Borgna nel libro “Elogio della Depressione”: Lo sfarinamento dei legami sociali e familiari così come le ferite inferte dalla depressione, che segnano un numero crescente di individui, sono i sintomi contemporanei della fragilità……gli individui, le famiglie e le comunità sono oggi intrappolate in un circuito di paura, angoscia, rancore, rabbia, incapaci di dare un significato collettivo alla sofferenza. Eppure proprio la fragilità ci indica i valori che danno un senso all’esistenza….…..riconoscersi fragili, insicuri, malinconici, è la premessa per ritrovare quello slancio comunitario rigeneratore che solo ci mette in contatto con noi stessi e con il mondo aperto degli altri.
E’ necessario, di fronte alle ferite laceranti, al dolore insopportabile dell’anima senza via d’uscita, al silenzio disperante, trovare o ritrovare nuovi orizzonti di senso per salvarci dall’indifferenza e dal deserto delle emozioni. Chi opera in questo ambito di salute ha il compito fondamentale di dare voce e spazio a quella solitudine, a quel dolore, accoglierlo e comprenderlo, per far rinascere di nuovo il senso del nostro vivere.