Le grandi storie sui muri di Milano

da Giannella Channel

Dopo via Bigli, domicilio di Einstein, ricaviamo due nuove, sorprendenti storie dal libro di Roberto Angelino “Milano, mettiamoci una pietra sopra” (Booktime) che racconta di 50 vip che hanno dimorato all’ombra della Madonnina: è la volta del grande scrittore americano e del presidente nordvietnamita. Milano d’estate è anche un museo a cielo aperto, come ha invitato alla visita il sindaco Beppe Sala

Come spiega una lastra di marmo sulla facciata del palazzo di via Armorari 4 angolo via Cesare Cantù, dietro via Orefici, nell’estate del 1918, verso la fine della Grande Guerra, il futuro Nobel 1954 per la Letteratura Ernest Hemingway, uno dei tanti eroici “ragazzi del Novantanove”, soggiorna al quarto piano di quel palazzo, all’epoca temporaneamente trasformato in ospedale dalla Croce Rossa statunitense.

Ernest Hemingway e, a destra, Agnes von Kurowsky.

Riformato per un difetto alla vista dall’esercito del suo Paese, il diciottenne scrittore va al fronte come “assistente volontario di trincea” (in pratica fa il barelliere) e nella notte fra l’8 e il 9 luglio vicino a Fossalta, lungo l’argine del Piave in località Busa del Buratto, è ferito dalle schegge di una granata austriaca e poi colpito alla gamba destra dai proiettili di una mitragliatrice che gli penetrano nel piede e in una rotula.

Hemingway con la moglie Hadley Richardson

Curato alla bell’e meglio nell’ospedale da campo della Repubblica di San Marino, il 15 luglio è caricato su un vagone sanitario e il 17 approda a Milano in via Armorari, dove l’operano d’urgenza. In ospedale Ernest (poi decorato con una medaglia d’argento al valor militare e con una croce di guerra) conosce una deliziosa crocerossina del suo reparto, la statunitense d’origini tedesche Agnes von Kurowsky e se ne innamora, anche se alla fine lei non manterrà la promessa di sposarlo. La passione dura solo i mesi della convalescenza ma ispirerà uno dei suoi romanzi più celebri, Addio alle armi (del 1929) come ricorda con orgoglio tutto meneghino la targa sulla facciata dell’edificio.

Dimesso dall’ospedale americano, Hemingway torna al fronte a Bassano del Grappa e, dopo la smobilitazione, il 21 febbraio 1919 è accolto come un eroe nella sua città natale Oak Park, sobborgo di Chicago.

Nel giugno del 1922, con la moglie Hadley Richardson (una pianista di St. Louis sposata l’anno prima e futura madre del loro primogenito John), torna a Milano e intervista Benito Mussolini nella sede del Popolo d’Italia, il quotidiano che dirige. Poi, nel gennaio 1923, in un articolo sul Toronto Daily Star definisce il futuro Duce “uno che ha del genio nel rivestire piccole idee con paroloni” e “il più grande bluff d’Europa”, concludendo: “C’è qualcosa che non va, anche sul piano istrionico, in un uomo che porta le ghette bianche con una camicia nera”. Per questo motivo il regime porrà sempre il veto alla pubblicazione in Italia di Addio alle armi.

Hemingway in compagnia di Fidel Castro.

Ernest inizia una vita avventurosa tra Parigi, la Cuba di Fidel Castro, la Spagna franchista, le Keys della Florida e i safari nell’Africa Nera. Fino al 2 luglio 1961 quando, depresso e malato, si spara una fucilata in bocca nella sua villa a Ketchum, nell’Idaho.

Il rivoluzionario e politico vietnamita Hồ Chí Minh (Hoang Tru, 1890 – Hanoi, 1969), primo ministro del Paese dal 1946 al 1954 e suo presidente dal 1954 al 1969.

Se a sorpresa la ricca Capri ospita nei Giardini di Augusto una monumentale statua in marmo bianco di Carrara di Lenin (lì in vacanza nel 1908 e 1910 nella villa dello scrittore Maksim Gorkij) realizzata nel 1968 da Giacomo Manzù, Milano non ha voluto essere da meno e dal 1990, centenario della sua nascita, ricorda anch’essa, ma con una più discreta targa stradale, un altro grande leader rivoluzionario del XX secolo: il presidente nordvietnamita Ho Chi Minh. La lapide risalta sulla facciata di un caratteristico edificio popolare di ringhiera in viale Pasubio 10 angolo via Maroncelli, a Porta Volta.

Secondo l’iscrizione, Ho Chi Minh ha abitato lì «durante le sue missioni internazionali negli Anni Trenta in difesa delle libertà dei popoli». Molto più prosaicamente, attorno al 1933 è un esule braccato su cui pende un mandato d’estradizione francese. Nel 1913 era diventato pasticciere sotto la guida del grande chef Auguste Escoffier al Carlton di Londra e quindi a Milano decide di mettere a frutto quell’esperienza trovando per qualche mese casa e lavoro (come lavapiatti e poi aiuto-cuoco) nel ristorante accanto al quale c’è la targa, l’Antica Trattoria della Pesa (aperta nel 1880 da Napoleone Calatti, la cui famiglia l’ha gestita fino al 1991 quando è subentrato Delio Sassi con la moglie Alba e i figli Francesca e Alessandro) che ancora oggi conserva all’interno un suo ritratto. Il 12 dicembre 2009 l’allora premier Silvio Berlusconi vi ha portato in “pellegrinaggio” il presidente vietnamita Nguyen Minh Triet in visita di Stato in Italia.

E il 5 giugno 2012 l’ambasciatore a Roma Dang Khang Thoai ha deposto una statuetta in bronzo del leader rivoluzionario nella sala del ristorante a lui dedicata.

Ho Chi Minh era arrivato in Italia dopo aver partecipato a Hong Kong nel 1930 alla formazione del partito comunista indocinese. In quel momento si chiama ancora Nguyen Tat Thanh (“colui che sarà vittorioso”), ma dopo la fuga in Europa cambia il nome in Ho Chi Minh (“volontà che illumina”) che mantiene sino alla fine dei suoi giorni, il 3 settembre 1969, quando ancora dirige la lotta di liberazione nel suo Paese. Lasciata Milano, andrà in Unione Sovietica e poi, nel 1938, in Cina per combattere nella guerra civile al fianco delle truppe di Mao Tse-tung.

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