di Francesca Radaelli
Un dialogo tra un professore e un imprenditore sull’economia di Francesco.
Un tema inedito per la serata di lunedì 28 febbraio, la seconda del ciclo dell’ultimo lunedì del mese promosso dalla Caritas di Monza.
Un incontro che ha permesso di collegare i mercanti dei Comuni medievali agli imprenditori che si muovono nella società globale contemporanea.
Merito del dialogo serrato condotto da Oreste Bazzichi – il professore – docente di Filosofia Sociale ed Etica Economica alla Pontificia Facoltà Teologica S. Bonaventura, con Marco Sala – l’imprenditore – titolare della Italsilva di Seregno.
Gli incontri di quest’anno, moderati dal giornalista Fabrizio Annaro, sono dedicati agli ‘artigiani del bene comune’. Ma in un tempo in cui la guerra imperversa vicinissima a noi, come sottolinea Don Augusto Panzeri in apertura, il titolo della rassegna potrebbe diventare ‘Artigiani della pace’: “Chiedendoci cos’è l’economia di Francesco vogliamo essere costruttori di questa pace, anche analizzando meglio quel fattore economico che spesso motiva le guerre”.
San Francesco: un imprenditore?
Il professor Bazzichi, nel corso di un’articolata esposizione storica, ha messo in luce il percorso che da san Francesco, il poverello di Assisi, arriva fino a papa Francesco, che si ispira a lui. “Non è un paradosso parlare di economia francescana”, ha esordito il professore. “Prima di convertirsi san Francesco era un mercante tra i mercanti, produttore e commerciante”.
Secondo la biografia di Tommaso da Celano, quando il padre Pietro di Bernardone lo manda a Roma con le sue mercanzie, Francesco vede tanti poveri mendicanti ai margini della piazza. E’ allora che chiede a uno di loro di scambiare i vestiti con i suoi: vuole provare cosa vuol dire chiedere l’elemosina. Tornato ad Assisi inizia il percorso di predicazione e povertà.
Eppure, anche dopo aver fatto approvare al papa la regola ‘bollata’, San Francesco non perde lo spirito imprenditoriale. “San Francesco voleva che i suoi frati lavorassero”, spiega il professor Bazzichi. “La chiama la ‘grazia’ del lavoro. Per i benedettini era ‘ora et labora’, per Francesco invece la regola è ‘prega lavorando’ e ‘lavora pregando’”. Siamo nel XIII secolo, nel pieno dell’esodo dalle campagne alle città. I monasteri delle campagne sono paragonabili a dei distretti industriali, hanno un considerevole potere economico. “Francesco invece dice ai suoi frati: dovete stare fratelli coi fratelli, andare dove c’è la gente. Vuole che abitino in mezzo al popolo”.
L’imprenditorialità francescana
Se può sembrare un paradosso definire ‘imprenditore’ il santo che si spogliò dei suoi vestiti da mercante, il professore parla addirittura di ‘imprenditorialità francescana’. In particolare, racconta, in un tempo in cui l’usura era condannata dalla Chiesa, i francescani furono i primi a cercare di superare sul piano teorico il prestito a interesse. La sfida era far accettare alla Chiesa il fatto che il capitale, se indirizzato agli investimenti, ha un valore aggiunto. Ad affrontare questo tema è Fra’ Pietro di Giovanni Olivi, che si pone il problema di quale sia il giusto prezzo nel mercato, e da cosa dipenda. “Dalla virtuositas: la qualità del prodotto. E poi, dalla raritas: più è raro il prodotto, più ha un valore. Infine, dalla complacebilitas: la bellezza, la moda”.
Sul piano pratico i francescani inventano i Monti di Pietà. Sia quelli monetari, per i prestiti in denaro, sia quelli frumentari, che prestano le sementi. Il prestito non doveva superare il tasso del 10%. “Insomma”, conclude il professore, “i Francescani sono stati sempre attenti agli imprenditori: pensavano che dove si può formare un po’ di ricchezza, con quella ricchezza si potranno anche aiutare i poveri. Nelle signorie in cui le imprese crescevano c’era sempre la presenza di un francescano”. Ai frati, però, maneggiare il denaro era vietato: erano invece chiamati a donare il tempo, attraverso la loro predicazione.
Un profitto da ‘ottimizzare’
Marco Sala cerca di riportare all’oggi le parole del professor Bazzichi, soffermandosi sul tema cardine del profitto, ossia l’obiettivo di chi crea un’impresa: “Spesso la parola profitto è accompagnata dal verbo ‘massimizzare’, generalmente connotato in maniera negativa”, rileva Sala. “Propongo di sostituirlo con il termine ‘ottimizzare’. Obiettivo dell’imprenditore è di ottimizzare la sua impresa, che è formata da un insieme di persone che contribuiscano alla crescita dei suoi obiettivi”.
Il primo aspetto dell’ “ottimizzare” è il fatto che la presenza del profitto permette che tutti i collaboratori abbiano una remunerazione soddisfacente. Il secondo aspetto è il legame con il territorio. “L’Italsilva, che oggi io guido, dalla sua nascita nel 1908 resta ancorata al territorio, che cresce con noi e si confronta con l’impresa. Oggi da Seregno esportiamo in 40 paesi del mondo ma qui abbiamo mantenuto quartier generale e produzione”. Terzo aspetto è l’obiettivo di far crescere valore nel territorio dove l’impresa lavora: “Un’impresa che non riesce a contribuire alla crescita dei giovani e della formazione è un’impresa che non si crea un futuro”, spiega Sala “Dobbiamo investire in questo perché chi fa formazione deve essere in grado di vedere il bisogno del mondo del lavoro tra cinque anni. Riuscire a prevedere questi bisogni è importante: una parte del profitto è ottimizzata perché reinvestita in questo bisogno formativo”.
Dalla condanna dell’usura a oggi la Chiesa è cambiata nel tempo: “Paolo VI disse che lo sviluppo è la nuova parola della pace”, sottolinea il professor Bazzichi. “Nell’enciclica Centesimus annus presenta il profitto nel ruolo di regolatore del buon andamento dell’impresa: se un’azienda non fa profitto muore”. A questo punto però, con uno sguardo all’attualità, viene da chiedersi quando il profitto sia giusto. Risponde Bazzichi: “Il profitto giusto quello che serve a remunerare l’imprenditore, l’impresa (per innovarsi / convertirsi), e quello che serve, se è sovrabbondante per i dipendenti, per legarli a sé”.
Imprenditori davanti alle sfide di oggi
Anche Papa Francesco ha parlato di ‘vocazione dell’imprenditore’. “Se nel Francescanesimo l’impresa nasce come legata al territorio, oggi c’è il problema del globalismo”, rileva Bazzichi. “La globalizzazione ha avuto un effetto positivo sulle telecomunicazioni e la diffusione di informazioni, ma ha portato a scompensi nelle decisioni imprenditoriali”.
Marco Sala si sofferma sul tema attualissimo della transizione ecologica, che coinvolge anche il PNRR: “La trasformazione ecologica rischia di essere affrettata, di incidere negativamente sulla libertà d’azione dell’impresa”, ammonisce l’imprenditore. “Chi fa impresa non può diventare un soggetto passivo verso cui confluiscono fondi e idee, ma deve essere un attore primario, riuscire a riorganizzarsi per arrivare a sfruttare al meglio risorse economiche e finanziamenti. Punto di riferimento deve essere il concetto alla base dell’economia circolare: fare in modo che ciò che produco possa essere riutilizzato, rientrare nel circuito produttivo. Compito dell’imprenditore è anche avere una visione di futuro, del luogo dove dovremo vivere. Dobbiamo lavorare perché i prodotti siano buoni, belli, ben fatti, utili, ma aggiungere anche un’attenzione a come vengono prodotti, con quali materiali, e con quali modalità vengono immessi sul mercato”.
Un approccio che deve riguardare anche il tema energetico, tanto più nella situazione attuale. “Anche qui bisogna aver chiaro dove dobbiamo andare”, precisa Marco Sala. “Sfruttare al meglio il petrolio e il gas che abbiamo, programmare lo sfruttamento delle energie rinnovabili. Magari riprendere il dibattito sul nucleare. Insomma, per un imprenditore lavorare su idee e progetti da realizzare in prospettiva futura fa parte della realtà quotidiana”.
E quando il profitto crea disuguaglianze?
Secondo Marco Sala, “è il profitto non ottimizzato a determinare incongruenza e diseguaglianza. La colpa non è dell’azione quotidiana dell’imprenditore, ma nella cattiva gestione della situazione: l’accentramento delle ricchezze non permette la crescita collettiva di tutti. Per questo il profitto deve essere rimesso in circolo sul territorio”. Il professore Bazzichi cita papa Francesco: “Non c’è giustizia senza carità. Ossia redistribuzione dei profitti per il bene comune, attraverso opere pubbliche comuni”.
L’economia può essere un’arma?, chiede Fabrizio Annaro, facendo riferimento alla risposta data dall’Occidente all’attacco militare della Russia in Ucraina.
“Se gli strumenti economici permettono di ottenere un risultato non deleterio come l’utilizzo delle armi, credo sia una strada da approfondire”, risponde Marco Sala. “L’Europa non poteva che scegliere l’economia, l’Unione si è costituita sull’economia non sulla politica”. Ciò che preoccupa però è forse proprio l’assenza della Politica: “Se la risposta economica non funziona, il rischio è che subentri la guerra, con la NATO. Ciò che è grave però è proprio la mancanza di un’azione politica”, conclude il professor Bazzichi.