di Camilla Mantegazza
Era il 6 agosto del 1948 quando la senatrice socialista e antifascista Lina Merlin presentava il suo disegno di legge per la chiusura delle case di tolleranza, concretizzando così la sua battaglia contro lo sfruttamento della prostituzione stessa. Era un’Italia, quella del 1948, estremamente arretrata, nella quale le donne erano state recentemente ammesse alle urne, dove il ministro dell’interno Mario Scelba aveva da poco messo al bando l’uso del bikini nelle spiagge e dove nei cinema, ad un certo punto, giravano le “brigate antibacio” per scoraggiare i giovani a intime effusioni pubbliche.
Un’Italia sessuofobica, chiusa, codina che mostra continuità con l’Italia fascista, dove il ricambio politico –non costituzionale- ci fu, ma senza essere netto e totale. L’unico paese, unito alla Spagna, che ancora “tollerava” e gestiva la prostituzione. Un lungo iter parlamentare dal quale emerse una classe politica che alcuni storici hanno definito “ottocentesca” e incapace di intercettare il cambiamento sociale, politico e culturale in atto.
La Merlin si mostrò decisa e convinta nel voler vincere la sua “battaglia per l’emancipazione femminile”. Una donna diretta, ruvida, con evidenti radici popolari, ricca di un surplus motivazionale: si mise in gioco in prima persona, esponendosi a minacce, insulti e veri e propri pericoli. Si arrivò così al 29 gennaio del 1958, quando il suo disegno divenne la celebre e controversa legge Merlin.
L’Italia era cambiata in quel decennio che si estende dal 1948 al 1958. Da paese contadino a quinta potenza mondiale a livello industriale. L’opinione pubblica rimase però frazionata e, ancora oggi, ciclicamente, il problema viene a galla, le discussioni in merito affiorano e coloro che si schierano a favore o contro le case di tolleranza discutono con animosità.
Per alcuni un baluardo di civiltà, per altri un ferro vecchio di cui disfarsi. In realtà una legge di portata rivoluzionaria e non semplicemente riducibile all’etichettatura che ne è stata data, principalmente per due ragioni. In primo luogo perché fu la prima legge nella storia italiana a combattere, o tentare di farlo, lo sfruttamento della prostituzione, e soprattutto in quanto la sua approvazione determinò la fine delle schedature poliziesche a cui erano sottoposte le prostitute, limitate dunque nel loro esercizio dei diritti civili. Ed è questa la vera battaglia che vinse la Merlin, la battaglia a cui più di ogni altra cosa tenesse. Non era l’abolizione della prostituzione l’obiettivo della senatrice socialista.
La sua legge permise la riconquista da parte delle prostitute e dei loro figli, prima notevolmente limitati, dei pieni diritti civili per uscire dalla loro condizione di minorità. In un’intervista ad Enzo Biagi datata 1969, Lina Merlin definì l’opposizione parlamentare al suo disegno “obbrobriosa”. Termine poco formale ma efficace. Efficace, se si pensa ad un intervento parlamentare del socialista Gaetano Pieraccini in cui fornisce un elenco “di tutte le stigmate degenerative che si raccolgono sul corpo delle meretrici” ovvero “minorate intellettuali, o morali”, che si dichiara favorevole al mantenimento della case di tolleranza in quanto nel “postribolo la scostumatezza è sottratta agli occhi del pubblico”.
Oppure si badi all’intervento del democristiano Michele de Pietro che, alla stregua del collega socialista, riporta “ricerche sui valori mentali delle prostitute, dalle quali risulta che su cento prostitute, trentuno sono idiote, tredici epilettiche o isteriche, ventuno alcolizzate, una paralitica e trentadue intellettualmente normali”. Discorsi improbabili che riecheggiano ancor’oggi laddove si ha assenza di consapevolezza civile e culturale.
Da un lato la prostituzione come problema di “igiene sociale”, come elemento da contenere per limitare la diffusione di malattie, di malcostume, di immoralità. Dall’altra la concezione della Merlin, concezione di difesa dei diritti civili in anni in cui i diritti dell’uomo e dell’individuo andavano affermandosi. E ancora oggi, il problema suscita discussioni, problemi irrisolti, dubbi e incertezze.