Lella Costa racconta la grande bellezza delle donne più  fragili

di Francesca Radaelli 

Margherita, la Signora della camelie di Alexandre Dumas. E  Violetta, la protagonista dell’opera di Verdi. Ma anche  Maria Callas, che prima di interpretare la stessa Violetta fu capace di perdere oltre 35 chili. Marylin Monroe e i suoi amori tormentati. È la loro storia quella raccontata dalla Traviata di Lella Costa, in scena ieri sera a Monza in un teatro Manzoni pieno di spettatori, che non hanno risparmiato gli applausi. È la storia di ogni donna che deve bellezza e fascino alla propria fragilità, alla vulnerabilità dei propri sentimenti, all’intensità di un amore tormentato e indissolubilmente legato alla morte.

Del resto ‘Amore e morte’ doveva essere il titolo dell’opera di Giuseppe Verdi, che poi per ragioni di censura venne messa in scena con il nome di ‘Traviata’, come spiega Lella Costa sul palcoscenico – diviso con un tenore, un soprano e un pianista, in una revisione dello spettacolo che ebbe grande successo diversi anni fa, realizzato dall’interprete milanese insieme al regista Gabriele Vacis.

Lella Costa nel monologo-dialogo de la Traviata

Nel lungo racconto che Lella Costa srotola davanti agli spettatori, nel corso di un monologo-dialogo che la porta a rivolgersi non solo al pubblico ma anche direttamente ai personaggi del dramma di Verdi e Dumas, la storia di Margherita si intreccia con quelle di altre donne, attrici e cantanti famose, ma anche ‘cortigiane’ di strada, che nei nostri tempi diventano prede di “banchieri, pizzicagnoli, notai”, di professori, dentisti e operai (e chi più ne ha più ne metta), nonchè con una fitta trama di suggestioni e citazioni letterarie e musicali, che spaziano da De Andrè, Battiato e Tom Waits a Pasolini, Scott Fitzgerald e T.S. Eliot.

Davvero efficace l’accompagnamento strumentale di Davide Carmarino al pianoforte, così come gli interventi lirico musicali, con le arie di Verdi cantate dai bravi Adriana Iozza e Giuseppe di Giacinto. Straordinaria come di consueto Lella Costa nell’accompagnare gli spettatori, con carisma e umorismo, lungo la vicenda di Margherita e Alfredo (sceglie di mantenere il nome di Dumas per la protagonista femminile, quello di Verdi per il protagonista maschile). Senza nascondere peraltro una faziosità tutta femminile nel parteggiare per la bella Margherita, peccatrice e vulnerabile, irridendo invece comicamente la goffaggine dell’irreprensibile Alfredo che, dice Lella Costa, in quanto uomo, per capire una cosa ha bisogno che questa gli venga spiegata. E che però ha dalla sua l’amore gratuito che offre alla bella cortigiana abituata ad essere mantenuta da ricchi e anziani protettori. Un amore, quello di Alfredo, che non chiede nulla in cambio,  che non nasce da un cuore “a forma di salvadanaio”, che non si chiama forse nemmeno amore. Piuttosto “devozione”: per spiegarlo l’attrice usa le parole di una canzone moderna, La Cura di Battiato, in uno dei momenti più intensi ed emozionanti dell’intero spettacolo.

Dopotutto, conclude Lella Costa, a tragedia ormai consumata, in fondo è proprio la “cura” il bisogno profondo di ogni donna, dentro la quale in fondo si annida e continua a vivere una ‘bellissima bambina’. Come lo è Margherita, nella sua fragilità di ammalata di tisi e innamorata infelice. Come lo erano, senza trucco e senza orpelli, Marylin e Maria Callas, in tutta la loro infelicità. Bellissimi e fragili intrecci di amore e morte.

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