È stato il biologo statunitense Eugene Stoermer, negli anni ’80, a ideare il concetto di Antropocene per indicare l’odierna era geologica nella quale – fatto inedito nella storia del pianeta – le trasformazioni del territorio e del clima sono determinate principalmente dall’ uomo. Una tesi che ormai appare una certezza, ma che all’epoca della sua formulazione precorreva i tempi. Dagli anni ’90 in poi i dibattiti sul cambiamento climatico sono stati lunghi e complessi, finché si è arrivati alla constatazione, oggi rifiutata da pochissimi scienziati, del ruolo determinante svolto dalle attività umane nel riscaldamento della Terra.
Ma non solo per il clima imbizzarrito si caratterizza l’Antropocene. Nell’ultimo mezzo secolo gli esseri umani che popolano il pianeta sono aumentati vertiginosamente, insieme ai loro consumi e all’impatto sull’acqua, sui suoli, sulle foreste. L’anidride carbonica e il metano liberati dall’ uomo hanno portato le concentrazioni di questi gas nell’atmosfera a livelli mai registrati negli ultimi 400.000 anni.
Il team di scienziati di prestigiosi istituti internazionali che sta studiando questo fenomeno sotto la direzione del chimico statunitense Will Steffen parla di “Great Acceleration”, una grande accelerazione delle attività umane che costituisce la base dell’Antropocene. In pratica, per la prima volta nella storia della Terra, nell’ultimo secolo l’insieme delle azioni prodotte dall’ uomo è diventato più incisivo di tutte le altre modalità di trasformazione per così dire “spontanee”: oggi la mano dell’uomo incide di più sulla natura di quanto non sia in grado di fare la natura stessa.
In realtà, questa lettura dei fatti non dovrebbe stupirci. Nelle grandi religioni monoteiste il potere assegnato all’ uomo di “assoggettare” la natura per prosperare ha sempre dato una dignità filosofica e teologica ai passi che hanno portato l’umanità dall’essere una specie animale tra le altre a conquistare una centralità senza contendenti, fino ad avere la possibilità di determinare la stessa distruzione della vita sulla Terra. Un potere incommensurabile che oggi, nel suo complesso, pesa più della natura sui cicli vitali.
L’ uomo ha anche la capacità unica di trascendere dalla sua esperienza diretta e di immaginare massimi sistemi. Ma questa condizione tende a sfumare proprio quando dovrebbe tradursi in soluzioni pratiche dei problemi: cede il passo ad altre caratteristiche della psicologia umana che ne neutralizzano gli aspetti positivi, e così l’incoscienza continua a essere una condizione fondante dell’Antropocene. Un’incoscienza che a lungo è stata determinata dall’ignoranza dei processi in atto e delle loro cause, ma che oggi non risulta più giustificabile se non andando a indagare i meccanismi più antichi della nostra specie rispetto al progresso, alla moltiplicazione, all’assoggettamento del resto della natura.
La fisica e la chimica ci descrivono un mondo che sta cambiando velocemente secondo modalità via via più anomale, che spesso si percepiscono anche a occhio nudo. L’antropologia, invece, non ha ancora cominciato a indagare come e perché l’ uomo non abbia perfezionato strumenti culturali adatti ad affrontare questi cambiamenti in corso, mettendo progressivamente a tacere uno dei principi basilari della vita sulla Terra: l’istinto di sopravvivenza.