di Enzo Biffi
27 luglio 1976, inizia l’era delle radio libere. La Corte Costituzionale sancisce la legittimità delle trasmissioni radiofoniche private, purché a diffusione locale. È la fine del monopolio della radio di Stato.
La latteria di zia Gina teneva il volume basso e lo alzava a dismisura solo quando partiva la canzoncina che la pubblicizzava. Mio cugino, il più grande, rubava i cartoni delle uova per insonorizzare la cantina che il macellaio dietro l’angolo affittava ai ragazzi del quartiere e che diventava “lo studio”.
Sul balcone un’antenna rudimentale legata allo stendipanni garantiva la ricezione almeno fino a via Novara, dove appunto stava la latteria di zia Gina. Roberto detto “rosso” parcheggiava il vespino lì sotto e trasmetteva alle 19,00 in punto, musica italiana, rock progressivo e un po’ di disco anni 70. Io aspettavo dopocena “le dediche”.
Le radio “libere” arrivarono come un vento di novità a muovere le fronde un po’ stantie dell’albero della comunicazione italiana. Libere lo furono davvero, c’era di tutto.
Qualcuna specializzata in musica altre con ambizioni giornalistiche, una a destra e giù botte a quella di sinistra, una dell’oratorio e l’altra a microfono aperto, talmente aperto da venir subito chiuso dalla Digos.
Inventate per lo più da studenti e qualche volta sostenute economicamente da personaggi un po’ “naif”, vennero frequentate anche da e giovani giornalisti in erba, qualcuno diventato poi campione del giornalismo professionista.
Da lì sarebbe cominciato tutto; fu quello un periodo di genesi di imperi mediatici, fucina di idee geniali ma anche avanguardia di tanto trash che ci avrebbe invaso già pochi anni dopo.
La radio e più in generale la comunicazione mediatica fino ad allora aveva il sapore di stato e l’odore della censura. Le difficoltà stesse nel trasmettere, rendevano inevitabile, e in qualche modo garantivano, il controllo minuzioso di quanto veniva lanciato nell’etere. Poi, più o meno all’improvviso, come ogni vera rivoluzione tecnologica che si rispetti, tutto diventò più facile o almeno “più possibile”.
Facendo coincidere tale opportunità tecnologica con l’energia creativa e innovativa dei giovani di quel periodo, è facile immaginare per chi non c’era e capire per chi c’era, il motivo di ciò che accadde.
Prima in ogni paese, poi in ogni quartiere e sul finire in ogni condominio nacque una radio detta “libera”.
Insomma se all’inizio sembrò essere un fenomeno di costume, appena dopo si intuì che nulla sarebbe più stato come prima e chi sopravvisse a quello tsunami di onde (radio) ancora oggi accompagna il nostro vivere con musica, notizie, intrattenimento, meteo, traffico e quant’altro.
Ora che coi social tutti dicono tutto a tutti in ogni momento e ovunque, mi capita di tanto in tanto di canticchiare qualche canzone ingenua che mi riporta a quell’altrettanto ingenua sensazione di libertà.
“…e se una radio è libera, ma libera veramente mi piace ancor di più perché libera la mente…”
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