di Alfredo Somoza
Da qualche anno, a livello europeo imperversa il dibattito sull’adozione di un bollino informativo sugli alimenti consumati nell’Unione. I candidati più forti si basano su due approcci diversi. “Nutri-score”, ideato in Francia, è un semaforo che indica con 5 sfumature tra il rosso e il verde la ricaduta sulla salute di ogni singolo alimento: il colore viene elaborato da un algoritmo che prende in esame parametri quali l’apporto calorico e il contenuto di grassi saturi, zuccheri e sale.
Oltre alla Francia, sostengono Nutri-score anche da Germania e Belgio. Diversi Paesi dell’Est e del Sud del continente, Italia e Grecia in primis, invece lo criticano perché penalizzerebbe i prodotti ultra processati e diversi alimenti tipici della tradizione mediterranea Questi Paesi rilanciano proponendo “Nutrinform Battery”.
Si tratta di un bollino a forma di batteria che indica non se il cibo sia da considerarsi buono o cattivo in sé, bensì quanto pesa percentualmente una singola porzione di quell’alimento sulla quantità totale di calorie, zuccheri, grassi, grassi saturi e sale che è consigliabile assumere in un giorno. Un meccanismo farraginoso e difficile da interpretare da parte del consumatore, meno immediato del semaforo del concorrente.
In pratica, la tesi di Nutrinform Battery è che nessun alimento in commercio è dannoso, tutto dipende dalle quantità assunte. Per Nutri-score, invece, esistono cibi dannosi che restano tali a prescindere dal contesto.
La strategia agricola europea Farm to Fork / Dal produttore al consumatore prevede che entro il 2022 un bollino di questo tipo sia introdotto su tutti gli alimenti, escludendo solo i prodotti IGP, DOP e STG. Diverse aziende multinazionali hanno già preventivamente annunciato che si adegueranno. E proprio quest’ultimo dato ci riporta con i piedi per terra rispetto al dibattito tecnico e politico, che appassiona solo gli addetti ai lavori. Andando a vedere il mondo dei consumi, infatti, ci si accorge che la logica del bollino non spaventa nessuno: sarà l’ennesima informazione che andrà ad aggiungersi a etichette già cariche di parole e numeri, magari in più lingue, ma anche di simboli, bolli di certificazione e codici a barre, il tutto in caratteri sempre più piccoli e illeggibili.
L’eccesso di informazioni, alla fine, sta producendo l’effetto contrario rispetto a quello auspicato: il mondo del consumo è ormai diviso nettamente in due, una minoranza informata che spende tempo per studiare l’etichetta e una maggioranza che la ignora, anche per mancanza di tempo. È in questa seconda, grande categoria che si collocano i consumatori di trash food, molto consistenti in Paesi come gli Stati Uniti e in forte crescita anche in Europa: di fatto non compiono una scelta ponderata ma acquistano ciò che costa poco e disconoscono o ignorano le controindicazioni.
Il problema non è solo economico ma anche culturale. Ad esempio la verdura e la frutta di stagione non hanno prezzi proibitivi, ma per ragioni culturali vengono sempre più eliminate dalla dieta. Che è sempre più basata su cibi processati e da consumare rapidamente, come i wurstel o le patatine fritte, ma anche su specialità – per guardare all’Italia – come i salumi e i formaggi. E il cortocircuito si verifica qui: i produttori di alimenti tradizionali ricchi di grassi e sale, come gli insaccati, si rivolgono a un cliente che potrebbe rivelarsi sensibile al richiamo salutista, mentre i produttori di trash food non se ne preoccupano affatto, perché i loro consumatori ignorano i bollini.
In conclusione, la guerra del bollino alimentare in Europa è figlia di una visione utopica, nella quale tutti i consumatori leggono le etichette e si regolano di conseguenza. Ma la realtà è ben diversa perché il cibo, come sempre, è cultura e disponibilità economica.
La questione vera sta a monte, ed è che anche nell’Europa mediterranea, dove ieri i poveri vivevano mangiando soprattutto pesce, olio d’oliva, pane, verdura e frutta, oggi vincono hamburger, merendine e patatine fritte. Che possono permettersi di farsi beffa di qualsiasi bollino.