L’integrazione? È anche una questione di genere

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di Francesca Radaelli

L’occasione non poteva che essere l’8 marzo, la giornata dedicata alle donne di tutto il mondo. Quindi anche d’Europa. Quindi anche a quelle che in Europa ci sono arrivate dopo viaggi lunghi e spesso terribili, fuggendo talvolta da soprusi subiti proprio in quanto donne, e senza peraltro la certezza di non cadere in situazioni peggiori una volta giunte a destinazione.

In occasione della Giornata internazionale della donna il Parlamento europeo ha voluto accendere i riflettori sulle donne rifugiate in Europa, dedicando proprio a loro la ricorrenza. Una minoranza, se consideriamo la composizione dei flussi migratori cui abbiamo assistito negli ultimi mesi. Ma una minoranza forse destinata a crescere, come ha sottolineato la deputata inglese Mary Honeyball, autrice di una relazione sulle difficoltà di integrazione incontrate dalle donne migranti. Le quali, in ogni caso rappresentano oggi una presenza numericamente assai  rilevante nei paesi del Vecchio Continente.

Centre de tri et d'enregistrement « Paul-Hallen », Passau, Allemagne. En arrivant dans cette petite ville frontalière avec l'Autriche, les réfugiés touchent pratiquement au but. C'est là qu'ils vont enfin pouvoir faire leur demande d'asile pour rester en Europe, comme Ola et Hla, deux étudiantes syriennes. Auparavant, ils subissent quelques derniers contrôles : fouille au corps, relevé d'empreintes digitales, etc...

Quali i problemi che incontrano?  Il lavoro, innanzitutto, molto più difficile da trovare in terra straniera per una donna che per un uomo. L’alloggio, almeno nel caso in cui non si arrivi al seguito della famiglia. La conseguenza, piuttosto ovvia da trarre, è che molte donne giunte sole in Europa finiscono nel giro della prostituzione. Tuttavia anche nel caso in cui si giunga al seguito di marito e famiglia l’integrazione nel tessuto sociale del paese ospite presenta non pochi ostacoli, a partire dalla lingua: frequentare un corso di italiano, tedesco o francese è decisamente complicato per una madre impegnata nella cura dei figli, un dovere che continua a essere considerato esclusivamente femminile nella maggior parte delle culture. E non conoscendo la lingua, accedere al mercato del lavoro è decisamente più complicato. Insomma, il cane si morde la coda.

Se le politiche messe in atto finora per l’integrazione di profughi e rifugiati non hanno badato molto alle differenze di genere, forse è giunto il momento di porsi il problema. A partire dal momento della prima accoglienza.

E così, nella risoluzione votata proprio  lo scorso martedì 8 marzo, e approvata con 388 voti favorevoli, 150 voti contrari e 159 astensioni, i deputati europei hanno voluto sottolineare che una riforma delle politiche di migrazione e di asilo dell’Ue debba comprendere anche misure di genere per garantire la sicurezza delle donne che chiedono asilo, molte delle quali viaggiano con bambini piccoli e altre persone a carico.

Non solo. La violenza di genere – dallo stupro alla la violenza sessuale, dalle mutilazioni genitali femminili ai matrimoni forzati e la violenza domestica – dovrebbe essere un motivo valido per richiedere asilo nell’UE, sottolineano gli europarlamentari.

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All’interno della relazione vengono indicate inoltre una serie di misure concrete per garantire che le esigenze specifiche delle donne siano rispettate in tutto il processo di richiesta di asilo e nei centri di accoglienza. Tra queste:

–    zona notte e servizi igienici separati per genere

–    personale e interpreti femminili

–    consulenza traumi per le donne che hanno subito violenza di genere

–    cura dei bambini durante lo screening e il colloquio per la richiesta d’asilo

–    informazioni per le donne sul loro diritto di presentare richiesta di asilo indipendentemente dal loro coniuge, come aspetto chiave per l’emancipazione delle donne

–    formazione specifica di genere per il personale

–    assistenza legale per le donne nei centri di accoglienza.

“Questa risoluzione evidenzia la situazione eccezionalmente vulnerabile delle donne rifugiate nell’Unione europea”, ha commentato Mary Honeyball, l’autrice della relazione. “Sono fuggite dalla persecuzione nei loro Paesi d’origine, intraprendendo un viaggio pericoloso per raggiungere un luogo sicuro. Al loro arrivo nei centri di accoglienza queste donne già vulnerabili – possono essere state vittime di violenza sessuale, di traffico o di altri crimini violenti – e devono affrontare ulteriori ostacoli che aggravano la loro posizione”.

Francesca Radaelli

Fotografie © Marie Dorigny / European Union 2015

Da dicembre 2015 a gennaio 2016, la celebre fotografa francese Marie Dorigny ha viaggiato in Grecia, in ex Repubblica Jugoslava di Macedonia e in Germania per raccontare la situazione delle donne rifugiate. piace_sostieni_200dpi

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