L’intima solitudine di Edward Hopper

di Francesca Milazzo

Silenzio, parla la pittura di Edward Hopper. Un discorso pieno di tristezza, malinconia, abbandono, disperazione muta. E’ questo quel che maggiormente comunica : un’energia disperante, ma bloccata.

E’ il più importante pittore ed incisore statunitense, caposcuola dei realisti. Nasce il 22 luglio 1882 a Nyack, cittadina dello stato di New York . Il successo arriva nel 1924, a 32 anni, con una mostra di acquerelli, e  tre anni dopo, nel 1927, con una personale di pittura che lo consacrerà definitivamente. Rappresenta per un’intera vita la middle class americana. Interni e paesaggi dove l’individuo è solo, sempre, anche se al suo fianco o a qualche metro di distanza, altri si “muovono” fissamente sulla scena.

In  Europa arriva da giovane nel 1907: visita Bruxelles, Madrid,  Londra e Berlino. Parigi è la sua città d’elezione, vi soggiorna a lungo, da marzo ad agosto del 1909. Adora la lingua, adora i classici francesi e anche la sua pittura in quel periodo è ricca e serena: dipinge la Senna, i barconi, ma lo affascina anche la maschera triste di Pierrot.


Sono anni in cui si afferma il fauvismo, il cubismo, l’astrattismo in generale, ma Hopper preferisce guardare ai pittori impressionisti, ama molto anche Francisco Goya. Il tour europeo, che esclude l’Italia, si esaurisce nel 1910, anno in cui ritorna in America che non lascerà più fino alla morte, avvenuta a New York  nel 1967.

Dipingo quel che sento non quello che vedo.

Così  disse a chi gli chiedeva spiegazioni sulla sua pittura. Paesaggi dell’anima, dunque, quelli di Hopper: estrema riduzione di particolari, con figure illuminate da una luce fredda, figure immerse nel vuoto della vita.

 

 

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