di Francesca Radaelli
È stato definito ‘ius soli sportivo’, in realtà è una cosa un po’ diversa. L’obiettivo è “favorire l’integrazione sociale dei minori stranieri residenti in Italia mediante l’ammissione nelle società sportive appartenenti alle federazioni nazionali, alle discipline associate o agli enti di promozione sportiva”. La legge entrata in vigore con l’approvazione definitiva lo scorso 14 gennaio in Senato non offrirà una corsia preferenziale per ottenere la cittadinanza italiana, ma permetterà semplicemente agli stranieri minorenni “regolarmente residenti nel territorio italiano almeno dal compimento del decimo anno di età” di essere “tesserati con le stesse procedure previste per il tesseramento dei cittadini italiani” all’interno delle società sportive. La proposta, presentata dall’onorevole Bruno Molea di Scelta Civica, componente del Consiglio nazionale del Coni, dopo l’approvazione alla Camera dei Deputati lo scorso aprile, ha ricevuto ora il via libera definitivo a Palazzo Madama con 215 voti a favore, sei contrari (dalla Lega Nord, unico partito ad opporsi) e due astenuti.
Quasi tutti, insomma, sono d’accordo: lo sport può svolgere un ruolo importantissimo come veicolo di integrazione per i giovani stranieri che vivono in Italia. Le regole del gioco sono uguali per tutti, nessuno parte avvantaggiato rispetto agli altri, anche chi non parla bene l’italiano può sentirsi allo stesso livello. Ma perché a vincere sia il migliore, tutti devono poter partecipare. Eppure, come ha sottolineato Josefa Idem – la senatrice del Partito Democratico, grande sportiva ‘naturalizzata’ italiana, è tra i firmatari della proposta di legge – fino ad oggi un minore straniero che frequenta la scuola italiana poteva partecipare ad attività sportive soltanto fino al compimento dei 14 anni.
“Un provvedimento di civiltà”, è stato il commento di Vincenzo Manco, presidente nazionale Uisp – Unione italiana sport per tutti. I bambini sono tutti uguali: viene equiparata la condizione dei minori italiani a quella degli stranieri. È un passaggio che sancisce il fattore educativo e inclusivo della proposta sportiva, permettendo l’accesso all’attività agonistica a tutti i minori, cosa che finora non era possibile”.
Francesca Radaelli
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