Cosa è rimasto dell’esperienza? Cosa vi ha insegnato per il futuro?
Queste sono alcune delle domande dell’indagine condotta durante le settimane di lockdown del 2020 dall’impresa sociale Spazio Giovani, operante nelle province di Monza e Brianza e di Milano. A un anno di distanza dal fatidico 24 febbraio 2020, sono stati pubblicati risultati e risposte.
Ci riportano a un tempo di distanziamento e isolamento, in cui proprio la famiglia e lo spazio domestico sono stati al centro di una nuova trasformazione delle relazioni.
L’inchiesta
L’inchiesta, realizzata in partnership con l’equipe di Promozione della Salute di Ats Brianza all’interno del progetto Skill at Stake – Family Skills, ha coinvolto i genitori di circa 1500 famiglie.
Nell’ambito dell’iniziativa sono stati redatti due questionari, diffusi tra i mesi di aprile e giugno attraverso i Social Network degli enti promotori (Ats Brianza, Consultori Familiari, Rete di Scuole che Promuovono Salute): Con un poco di zucchero, indirizzato a genitori di bambini da 0 ai 6 anni, e Tutti insieme appassionatamente, rivolto ai genitori con figli da 6 ai 16 anni.
Composizione del campione dei partecipanti all’inchiesta
I focus group
L’indagine ha previsto anche due Focus Group in presenza, realizzati nel settembre 2020, con due gruppi di genitori di età compresa tra 25 e 48 anni e figli da 2 a 15 anni. Complessivamente i partecipanti sono tutti residenti nelle provincie di Monza e Brianza e Milano, e il panel ha ricompreso genitori italiani e stranieri. Una parte dei partecipanti, sia madri che padri, ha un livello culturale medio-alto ed una sensibilità ai temi sociali a motivo della loro professione (educatori, psicologi, assistenti sociali). Un’altra parte dei panel vive in zone popolari con livelli di istruzione e status socio-economico bassi. Alcuni sono di madrelingua italiana altri sono stranieri.
Il campione dei partecipanti all’inchiesta
Spaesati in casa nostra
Un anno dopo, il termine ‘lockdown’ è entrato a far parte stabilmente dell’immaginario collettivo. Nell’Italia attuale, divisa in zone e in colori, alcune delle risposte date dalle famiglie a settembre forse sarebbero tuttora applicabili alla quotidianità delle persone, altre oggi potrebbero essere, in parte, diverse. Di sicuro però, sono risposte che permettono di entrare, per un attimo, nelle case delle famiglie brianzole in tempi di pandemia.
Spaesamento, paure, necessità di riorganizzare i tempi di vita, gli spazi della casa: queste le conseguenze che l’inchiesta ha messo in luce. Anche se con una serie di differenze, a volte decisamente marcate, tra ceti e contesti culturali. Per la quasi totalità delle famiglie il lockdown ha comportato la rivalutazione dei valori familiari e sociali, mentre la carenza di dispositivi digitali e la difficoltà nella gestione delle regole di convivenza con i figli hanno riguardato solo una parte delle famiglie partecipanti all’inchiesta.
La stanza COL figlio
Una tra le grandi verità che la convivenza forzosa ha ribadito è che i genitori conoscono i figli molto meno di ciò che credono: gusti culturali e ludici, passioni, desideri, aspettative, paure e speranze dei ragazzi sono spesso ignorate da mamma e papà. “Al contrario, sembra che i figli conoscano di più quelli dei genitori, perché più prevedibili, più strutturati, definiti stabili”, sottolinea Anna Biffi di Spazio Giovani.
E’ più facile per un genitore dire, consigliare, spiegare, mostrare, indicare, piuttosto che semplicemente ascoltare i bambini e i ragazzi? O da adulti è più difficile cambiare? “Sicuramente i ragazzi e i bambini sono persone in evoluzione, una condizione che li espone di più ma che, allo stesso tempo, li rende più duttili a trasformazioni anche improvvise”.
Qual è stata la reazione genitori in questa situazione? “Nel complesso lo studio attesta che la maggior parte dei genitori si sono messi in gioco in tanti casi imparando e facendosi contaminare dalla multimedialità dei figli, dalla loro energia e dalla naturale capacità trasformativa”.
L’isolamento in casa ha sollecitato la coesione delle famiglie pur mettendo qualche volta a dura prova le relazioni interne. Forse l’aspetto più incoraggiante rilevato dall’indagine è proprio questo: una generale capacità di adattamento e di resilienza. Insomma non è “andato bene” proprio tutto, ma l’idea è che siamo ancora in gioco.
Un momento del focus group
Una pedagogia nuova?
Che impatto può avere questa esperienza nei nostri modelli educativi? Nei contenuti valoriali di cui è intrisa degli ultimi cinquant’anni? Di fronte a una rivoluzione della quotidianità delle relazioni come quella portata dalla pandemia la pedagogia deve cambiare prospettiva o “tenere la posizione”?
“Un dato che apre a nuove possibilità di crescita è stato il desiderio di trattenere ciò che ha funzionato e ciò che di buono si è appreso come singoli, famiglie e comunità più allargata”, risponde Anna Biffi. “La sfida del futuro più prossimo sarà trasformare questo desiderio in intenzione e pratica quotidiana individuale e collettiva”.
Rimozione del dolore e resilienza
I genitori interpellati riferiscono il desiderio di “non sentire” la paura e le emozioni “sgradevoli”, di ricercare solo emozioni positive. “Un desiderio che svela una caratteristica tipica dell’edonismo contemporaneo: l’impreparazione al dolore. La pandemia ha esposto tutti, in modo repentino, inaspettato e ineluttabile al fatto che non siamo invincibili né immortali”.
E allora cosa si può provare a imparare dall’esperienza? Forse il valore di un equilibrio nuovo, individuale e collettivo, in cui anche il dolore abbia un suo spazio. Uno spazio che può rivelarsi sorprendentemente generativo. Dalla sofferenza può nascere una nuova resilienza.
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