Loggia P2, il mistero dei misteri

di Luigi Losa

“Ho un debole per l’uomo in Lebole”: un slogan pubblicitario (oggi si definisce ‘claim’) ancora oggi usato da un noto marchio di abbigliamento (e non soltanto) maschile. L’azienda di proprietà della famiglia omonima di imprenditori aretini, è situata a Castiglion Fibocchi nel cuore della Toscana. Sulla collina di Santa Maria delle Grazie, in un paesaggio notoriamente incantevole, la famiglia aveva una residenza di oltre trenta stanze su tre piani, immersa in un parco di tre ettari: villa Carla.

Quando Licio Gelli, figlio di un mugnaio di Pistoia, prima fascista e poi antifascista, ufficialmente piccolo imprenditore e trafficone, entra in società con i Lebole in un’azienda di materassi, rileva villa Carla e la ribattezza villa Wanda in omaggio alla moglie.

Ed è a villa Wanda che il 17 marzo del 1981 si presentano i finanzieri al comando del colonnello Bianchi. Debbono eseguire un ordine di perquisizione a firma dei giudici istruttori Gherardo Colombo e Giuliano Turone che indagano sul presunto rapimento dell’avvocato e uomo d’affari siciliano Michele Sindona. Tutti nomi che, consapevolmente o meno, passano e passeranno alla storia dell’Italia della seconda metà del ‘900.

La perquisizione negli uffici della Giole, la fabbrica di materassi di Gelli, porta alla scoperta di una lista di quasi mille iscritti (962 per l’esattezza) alla loggia massonica P2.

La lunga premessa dal sapore quasi romantico-romanzesco la dice lunga sul contesto che accompagna e accompagnerà una delle vicende più oscure, controverse, tormentate, piene di intrecci e trame e ramificazioni a tutti i livelli e confini della storia politica, economica, giornalistica, giudiziaria e quant’altro dell’Italia repubblicana.

La lista P2, (lista) che pure si rivelerà incompleta o in ogni caso unica e/o esaustiva, contiene infatti nomi illustri di politici, imprenditori, uomini delle forse armate, grand commis di Stato che di fatto ha contribuito a costituire un ‘centro di potere’ occulto capace di influire e orientare, quando non determinare, scelte e decisioni di tipo politico e persino istituzionale. Che peraltro, al di là dei pronunciamenti giudiziari (praticamente di nessun conto) e politici (la commissione parlamentare di inchiesta presieduta da Tina Anselmi che produsse quantomeno un severo atto di accusa), sono diventate poi realtà nei decenni a seguire.

Lo scandalo della P2, che peraltro scoppia ufficialmente solo il 21 maggio (più di due mesi dopo la scoperta della lista) quando l’allora presidente del consiglio Arnaldo Forlani, democristiano a capo di un pentapartito di centrosinistra, decide di rendere noto l’elenco degli affiliati, è pari se non superiore a quello di Tangentopoli.

Lo stesso Forlani si vede costretto alle dimissioni il mese dopo e al suo posto viene nominato Giovanni Spadolini, repubblicano, primo presidente del consiglio non democristiano.

Nella lista della P2 il nome che diventerà più famoso negli anni a seguire è di sicuro quello di Silvio Berlusconi, imprenditore televisivo ma ancor più leader politico e di governo, che ha sempre negato la sua appartenenza alla loggia massonica.

Le numerose analisi e ricostruzioni e inchieste hanno spesso echeggiato e indicato Giulio Andreotti, personaggio di spicco della storia politica nazionale, come vero ‘burattinaio’ della loggia P2 senza che se ne trovassero mai le prove certe.

La loggia P2 è stato peraltro accostata a tutti i più grandi misteri, o presunti tali, italiani: dal Piano Solo al Golpe Borghese, dalle stragi dell’Italicus e della stazione di Bologna al rapimento e uccisione di Aldo Moro, dalle morti di Sindona e Roberto Calvi a quella di Mino Pecorelli.

Un intreccio infinito e inestricabile ma che conferma, almeno in parte, la costante inclinazione della politica a deviare da quella rotta e strada maestra che è il ‘servizio al bene comune’ per perseguire scopi e interessi di natura personale e o ideologica quando non soltanto di esclusivo e totale potere.

 

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