di Roberto Dominici
Il mito dell’eterna giovinezza, dell’elisir di lunga vita, ha sempre affascinato la letterature e l’arte di ogni epoca e di ogni tempo; si riscontra nei miti di molte culture solitamente intesa come il dono esclusivo degli Dei o dei semidei. Penso anche a Oscar Wilde con il suo romanzo Il ritratto di Dorian Gray, incentrato sull’eterna giovinezza e ciò che ne comporta; il protagonista è un ragazzo che tramite una sorta di incantesimo riesce a confinare il passare degli anni in un quadro che lo ritrae, in modo da restare giovane per sempre, e che arriverà a fare della sua bellezza un rito insano dichiarando che avrebbe dato la sua anima pur di non invecchiare mai.
La massima estensione della vita umana è da sempre oggetto di interesse culturale e scientifico (antropologico, demografico, genetico, gerontologico, biostatistico), fa da sfondo a racconti mitologici, si circonda di curiosità e non di rado dà luogo a millanterie. Negli ultimi decenni la longevità ed il suo raggiungimento è diventato uno dei campi oggetto di studio della Biologia e della Medicina. Tuttavia, soltanto dopo l’istituzione della registrazione neonatale è stato possibile, in vari paesi, raccogliere dati in dettaglio sull’incidenza della longevità estrema e riconoscere autentici primati di longevità umana.
Quali sono le basi della longevità? Quale è il ruolo e quale peso specifico svolgono i geni e l’interazione con l’ambiente? Indubbiamente Il DNA di un individuo gioca un ruolo nel processo di invecchiamento che comincia non appena si nasce. Non appena le cellule iniziano a morire devono essere sostituite. Sulle estremità di ciascun cromosoma ci sono delle sequenze ripetute di DNA, (sequenze che si ripetono 2500 volte nella specie umana) i telomeri che proteggono il cromosoma dal deterioramento e dalla fusione con cromosomi confinanti; diversi studi ipotizzano che il progressivo accorciamento dei telomeri ad ogni ciclo replicativo sia associato all’invecchiamento cellulare (fase di senescenza).
La comunità scientifica ha messo in luce che la longevità ha una forte componente genetica, la cosa è particolarmente evidente nel caso degli ultracentenari. Questi soggetti rappresentano infatti un modello per l’invecchiamento in buone condizioni di salute, dal momento che la disabilità si presenta generalmente nella nona decade di vita. In un lavoro del 2012 apparso sulla rivista Plos ONE, è emerso che un insieme di 281 mutazioni riusciva a prevedere con un’elevata accuratezza quali soggetti potessero superare i 100 anni di età. Una parte dei geni implicati, in precedenti ricerche, era risultata coinvolta nei processi di invecchiamento e nelle patologie correlate all’età.
Per il 2050 si prevede un boom di centenari: il loro numero nel mondo è destinato ad aumentare ben 8 volte nei prossimi 35 anni, passando dagli attuali 451.000 a quasi 3,7 milioni. Di questi, quasi la metà sarà concentrata in 5 Paesi: Giappone e Italia sono quelli che stanno invecchiando più rapidamente, insieme a Stati Uniti, Cina e India. L’aumento della speranza di vita nel 2016 rispetto al 2015 si deve principalmente alla positiva congiuntura della mortalità alle età successive ai 60 anni. Il solo abbassamento dei rischi di morte tra gli 80 e gli 89 anni di vita spiega il 37% del guadagno di sopravvivenza maschile e il 44% di quello femminile.
Ma quali sono i segreti della longevità? Centenari si nasce, grazie al corredo genetico, o lo si diventa, grazie allo stile di vita e, soprattutto, all’alimentazione? Se da un lato, l’estrema longevità dipende sicuramente da una genetica favorevole, dall’altro esistono numerose variabili in grado di migliorare o peggiorare la possibilità di un invecchiamento privo di malattie.
Gli alimenti di cui ci nutriamo sono sicuramente la variabile ambientale più rilevante nel determinare la longevità di un individuo. A tale proposito ricordo gli studi interessanti condotti dal gruppo del gerontologo Valter Longo con la ormai famosa dieta mima digiuno detta anche dieta della longevità che abbassa i fattori di rischio associati all’invecchiamento, come ad esempio le malattie cardiovascolari, il diabete, l’obesità e il cancro comportando un rallentamento dell’invecchiamento.
Questo tipo di dieta mima digiuno non prevede un completo digiuno ma rappresenta una finestra temporale, della durata di cinque giorni, all’interno della quale condurre un’alimentazione altamente ipocalorica, basata principalmente su verdura, frutta, legumi e cereali integrali.
Di fatto, sono praticamente nulle altre forme di zuccheri, proteine animali o grassi. Si ipotizza che grazie a questi cinque giorni di restrizione, il nostro organismo riesce a depurarsi delle tossine che ha accumulato, rigenerandosi e tornando a una nuova vitalità, favorendo il complesso fenomeno fisiologico chiamato “autofagia” che si verifica nel digiuno prolungato e che consiste nel consumo dei materiali di riserva da parte dell’organismo.
Ripetendo questo ciclo in maniera costante nel tempo, dopo un periodo che oscilla dai tre ai sei mesi, si otterrebbe nel nostro corpo un effetto di “riprogrammazione” interna delle cellule, le quali riuscirebbero a gestire meglio il trascorrere del tempo (ecco perché è una dieta associata al concetto di longevità) ma non solo, gli effetti di rigenerazione cellulare, infatti, riguarderebbero numerosi distretti corporei come il sistema immunitario, muscolare, epatico, nervoso.
Sono molte le sostanze utili all’organismo, non solo per mantenerlo in salute, ma anche per attuare una sorte di azione anti-aging. Le sostanze vegetali presenti in frutta e verdure come le antocianine e il resveratrolo, presente nella buccia dell’uva rossa, appartenenti alla famiglia dei polifenoli non flavonoidi, sono infatti in grado di attivare in maniera specifica i meccanismi di longevità cellulare e la maggioranza di questi composti è inoltre dotato di una potente azione antiossidante, effetto considerato particolarmente utile per contrastare i processi legati all’invecchiamento.
Anche gli acidi grassi polinsaturi omega 3, presenti in grandi quantitativi nel pesce e nelle alghe, agiscono promuovendo i meccanismi genetici della longevità. Prevedere dunque di introdurre nella propria alimentazione adeguati quantitativi di queste sostanze, come avviene nella dieta mediterranea e in quella giapponese, è sicuramente una regola d’oro per favorire un invecchiamento di successo, degno degli ultracentenari più agguerriti.
Alcune di queste sostanze possono infatti essere usate in maniera specifica per attivare i geni chiave che controllano metabolismo e longevità, trasformandosi in vere e proprie strategie nutrizionali per migliorare salute e qualità dell’invecchiamento.
22 dicembre 2017