di Daniela Annaro
“Una sera passeggiavo per un sentiero.Sotto di me un fiordo e una parte della città. (…) Sentii un urlo attraversare la natura: mi sembrò quasi di udirlo. Dipinsi questo quadro, dipinsi le nuvole come sangue vero. I colori stavano urlando.”
Il Grido è il manifesto, l’opera più nota e amata di Edvard Munch, il più importante pittore norvegese del XIX secolo, scomparso a Oslo il 23 gennaio 1944, a 81 anni. Manifesto perché sintetizza tutte le tensioni e il dolore provato nel corso della sua vita, manifesto anche rispetto al ruolo che ha avuto nel contesto storico – artistico nel quale ha operato. Il Grido come summa di quello che ci ha lasciato.
Edvard Munch nasce nel 1863 a Loten in un famiglia benestante, e’ nipote dello storico P.A. Munch. Bambino perde la madre, poco più che adolescente ha un nuovo lutto: muore la sorella di tubercolosi. Disgrazie che segnano la storia della sua famiglia anche il padre , che è un medico, cade in una profonda depressione. La sorella Laura impazzisce. Disgrazie e drammi che segnano la sua fanciullezza e che incidono sulla percezione del mondo e della vita. L’angoscia, il panico, una continua e pervadente malinconia, se non disperazione, invadano la sua arte, ne sono fonte e ispirazione.
Il corso di studi inizia in un istituto tecnico e poi iscriversi all’Accademia di Belle Arti di Oslo. A poco più di vent’anni terminata l’Accademia si reca a Parigi. Vieni a contatto così’ con la pittura di Gauguin, Van Gogh, Toulouse Lautrec, Degas. Si sente molto affine a Gauguin, apprezza la sua capacità di andare oltre la visione naturalistica. Siamo nel 1885, Munch espone un’ottantina di sue opere che fanno molto discutere tanto che dopo poco meno di una settimana la mostra viene chiusa. Ma se i suoi colori accessi e violenti inorridiscono i benpensanti, seducono, però, le nuove generazioni dell’arte.
Lo stesso effetto produce la mostra di Berlino del 1892, dove nel frattempo si è trasferito e risiederà fino al 1908. Nella capitale tedesca, le sue opere affascinano i giovani artisti. E’ un caposcuola per loro, un punto di partenza che darà avvio alla Secessione berlinese che, a sua volta condurrà all’espressionismo del gruppo tedesco Die Brucke. Fama e consenso, però, non attutiscono il suo dolore. E lo costringono a rimpatriare. A Oslo, torna per farsi ricoverare in una clinica per malattie nervose dopo aver fatto un uso esagerato di alcol.
Ma la sua vita professionale ormai è in Germania, dove poco prima dello scoppio della prima Guerra Mondiale, nel 1914, viene chiamato all’Accademia tedesca delle Arti e accolto come socio onorario all’Accademia bavarese di Monaco. I problemi sorgono con l’avvento al potere di Hitler dopo il 1933. “Arte degenerata” così i nazisti etichettano le sue tele insieme a quelle di molti altri artisti. Le 82 opere presenti nei musei tedeschi vennero rimosse. Gli ultimi anni li trascorre nella campagna vicino a Oslo. Ha una visione più bucolica e meno struggente. Muore un mese dopo aver compiuto ottanta anni, nel 1944.
.