Ma che cos’è l’autonomia differenziata?

di Marco Riboldi

Si parla spesso della autonomia differenziata, che da non molto ha ottenuto il voto favorevole dl Senato della Repubblica (ora toccherà alla camera dei Deputati trattare l’argomento).

Si tratta di un disegno di legge governativo, portato dal ministro Calderoli, che propone la possibilità che le Regioni chiedano allo Stato di gestire direttamente  molte tematiche di importanza, al momento oggetto di legislazione concorrente (cioè di competenza comune tra Stato e Regioni).

Alle Regioni che ne fanno richiesta, potrebbero passare in forma esclusiva moltissime competenze (23, per la precisione) dalla tutela della salute alla energia, dagli aeroporti alla previdenza complementare, dalla tutela dell’ambiente alla organizzazione della giustizia, dalle norme sulla istruzione alla ricerca scientifica.

Quali sono i nodi essenziali della questione? Cerchiamo di chiarire.

  1. La richiesta di autonomia non sarebbe comunque un cammino semplicissimo. Dopo la richiesta da parte della Regione interessata ci sarebbero numerosi passaggi tra Conferenza Stato-Regioni, commissioni parlamentari, e infine  approvazione di un disegno di legge del Consiglio dei Ministri che il Parlamento dovrebbe approvare.
  2. Ovviamente per gestire le materie di cui si prende carico, la Regione interessata sarebbe autorizzata a trattenere parte del gettito fiscale generato sul suo territorio. Questo porterebbe a problemi di non poco conto, soprattutto per alcune Regioni. Se si pensa che la Lombardia contribuisce allo Stato per una cifra che crea un residuo fiscale di circa 54 miliardi di euro l’anno (cioè versa allo stato 54 miliardi in più rispetto a quelli che riceve), si comprenderà che  tenere parte di questo denaro in Lombardia potrebbe causare problemi alle Regioni che, al contrario, ricevono più di quanto corrispondono (la situazione è quella nota: praticamente tutte le Regioni del nord e del centro nord danno più di quel che ricevono, mentre i cittadini delle le regioni centro-meridionali e meridionali ricevono più di quanto danno, con la sola eccezione del Lazio). Come fare?
  3. Per ovviare ai possibili problemi derivanti da quanto sopra detto, si stabiliranno i livelli essenziali delle prestazioni (LEP), cioè il livello minimo di servizi da offrire a tutti i cittadini in qualsiasi regione abitino: a questo, dove non fossero in grado di farlo le Regioni, penserà lo Stato, anche stanziando risorse da un fondo perequativo, cioè volto proprio a evitare che si creino zone con servizi sotto il livello essenziale.
  4. Quali le opportunità e quali le criticità?

Ne indichiamo qualcuna che si può vedere al momento.

C’è il rischio dell’Italia -Arlecchino: chi si prende la scuola e chi i beni culturali, chi l’ambiente e chi la organizzazione della giustizia e così via. 

Inoltre: come farà lo Stato ad finanziare le Regioni meno ricche che non avranno più trasferimenti con il gettito fiscale delle Regioni più abbienti? Sarà in grado la Stato di garantire i LEP con le risorse necessarie?

Insomma, come ha efficacemente sintetizzato un noto giornalista: sarà più un aumento della responsabilità e della efficienza delle singole Regioni o più una sensibile riduzione della solidarietà nazionale, con  un ulteriore aumento delle disparità sociali e territoriali?

Non è una facile scommessa, così come non appare facilmente prevedibile la reale possibilità che la autonomia passi dalla carta alla sua effettiva realizzazione.

Immagine da web

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