Ma proprio tutti? Fratellanza in tempo di Avvento

di Francesca Radaelli

È stata una veglia decisamente particolare quella con cui la Caritas di Monza ha voluto iniziare quest’anno il periodo d’Avvento. Una veglia di preghiere e canti trasmessa in diretta su YouTube. Una riflessione che, nel tempo del distanziamento fisico, ha voluto mettere al centro la vicinanza tra gli uomini. Meglio ancora, la fratellanza.

Un tema che diventa ancor più rilevante all’indomani di un tremendo fatto di cronaca che ha sconvolto la comunità monzese: l’uccisione violenta di un uomo per la strada, a cui ha fatto seguito l’arresto di due minorenni legati a contesti di spaccio e tossicodipendenza, che frequentano associazioni del territorio.

“Fratelli tutti…ma proprio tutti?” è la domanda da cui ha preso avvio la riflessione. Nella direzione dell’ultima enciclica di papa Francesco, dunque.

E nella direzione chiara, umana e concreta indicata dalla parabola del Buon Samaritano. È stato infatti questo il testo evangelico scelto come filo conduttore della serata.

La riflessione, sotto la guida di don Augusto Panzeri, è stata scandita in tre momenti, collegati ad altrettante testimonianze.

Un momento della Veglia: lettura e riflessione

L’abbandono: avvicinarsi a chi sta ai margini

Il primo momento è quello dell’abbandono, dell’uomo ferito e lasciato lì, nell’indifferenza di chi passa per la strada guardando dall’altra parte. Fino all’arrivo di chi decide di fermarsi, di dedicare il proprio tempo a chi è rimasto sul margine della strada.

Matteo Castellani

La prima testimonianza è quella di Matteo Castellani, operatore del Consorzio Comunità Brianza, che ha dedicato tanti anni all’accoglienza dei rifugiati sul territorio di Monza: “Per queste persone è stato messo in dubbio il diritto stesso di sopravvivere. Sono persone che oggi non vengono più salvate in mare, ma respinte. Basta questo per mostrare quanto siamo lontani dall’essere fratelli, oggi”. Eppure avvicinarsi è possibile: “Nel corso di questi anni con queste persone e con le loro storie abbiamo imparato a entrare in relazione. Nel periodo natalizio gli scorsi anni  i monzesi hanno provato ad aggiungere un posto alla loro tavola delle feste invitando qualcuno dei ragazzi accolti in città. Purtroppo quest’anno la situazione di pandemia ci impedisce di riproporre questa iniziativa. In pochi mesi abbiamo dovuto reinventare non solo il mondo del lavoro ma anche i modelli di socialità”. Essere tutti fratelli è diventato forse ancora più difficile.

L’aggressione: come il Male uccide il senso di umanità

Aggressione e aggressori sono al centro del secondo momento di riflessione. I “briganti della strada” hanno di solito come segreti alleati quelli che “passano per la strada guardando dall’altra parte”. I disincantati. Gli indifferenti.

Liliana Segre

E proprio l’indifferenza è l’accusa gigantesca che Liliana Segre, testimone dell’Olocausto, ha da sempre rivolto a chi era a conoscenza dell’orrore ma non ha mai alzato un dito. È affidata a lei, attraverso un contributo video, la seconda testimonianza. Una testimonianza che contiene tutto l’orrore di essere diventata, da bambina, all’interno del campo di concentramento, proprio come i suoi aguzzini volevano che diventasse. Egoista per un pezzo di coperta in più. Disumana nel non confortare, nemmeno con uno sguardo, la compagna di lavoro condannata al gas. Priva di qualsiasi dignità umana, ma anche di qualsiasi desiderio di legami umani di amicizia: “Per questo non ho perdonato, come non ho dimenticato”, ripete la Segre.

Tra il ferito e i briganti: come “starci”?

don Roberto Bartesaghi

Proprio il perdono e la sua possibilità sono al centro del terzo momento di preghiera. La sfida è riuscire a stare tra il ferito e i briganti. La direzione la indica la testimonianza di don Roberto Bartesaghi, sacerdote della Diocesi di Como e amico fraterno di don Roberto Malgesini, ucciso nello scorso settembre da un persona senza fissa dimora di cui lui stesso si occupava. “Quando è arrivata la notizia della morte di don Roberto, ho sentito il mondo crollare intorno. Sono stato io ad avvisare la sua famiglia, sua sorella”, racconta don Bartesaghi. “È stato difficile riuscire a starci, lì, tra la morte di don Roberto, il dolore della sua famiglia e colui che lo ha ucciso. Una persona che proprio don Roberto mi aveva fatto conoscere, che io stesso avevo aiutato, che consideravo un vicino di casa. Una persona a cui don Roberto mi aveva insegnato a voler bene”.

Fratelli tutti? “Sì proprio tutti”, avrebbe risposto don Malgesini. E forse è proprio qui il punto. Il bene genera bene. “Non posso non voler bene alla persona che ha ucciso don Roberto. Se lo odiassi per quello che ha fatto, mi sentirei di tradire don Roberto, mi sentirei come se io lo uccidessi”. E chi ha conosciuto don Roberto prova la stessa sensazione: “L’amore da lui testimoniato è stato troppo grande: ci impedisce di negare il perdono”.

“…proprio tutti”

Il male porta anche noi a diventare male. E disumanizza l’uomo: Liliana Segre lo dice chiaramente nella sua testimonianza. Il bene agisce nello stesso modo, ma in direzione opposta. Don Roberto avrebbe perdonato, noi non possiamo non farlo.

E facendolo conquistiamo una caratteristica essenziale dell’essere umano, che è anche al centro della parabola del Buon Samaritano: siamo stati fatti per la pienezza che si raggiunge solo nell’amore.

don Silvani Provasi

È questa la bussola da seguire nel cammino verso il Natale, sembra dire in conclusione l’arciprete di Monza don Silvano Provasi: “Prevenire il contagio dell’indifferenza e della poca disponibilità al dono, raccontare la generosità che genera gioia e fiducia, costruire insomma un’alleanza di carità”.

Con tutti. Ma proprio tutti. Cercando di diventare, così, quello per cui – ci dice Papa Francesco – siamo stati creati: “Fratelli tutti”.

 

Qui il link al video della Veglia, disponibile su YouTube

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