di Daniela Annaro
“Noi vogliamo cantare l’amor del pericolo, l’abitudine all’energia e alla temerità”. E’ questo il primo punto del Manifesto del Futurismo. Il mondo lo conosce quando il 20 febbraio 1909 il quotidiano francese “Le Figaro” lo pubblica in prima pagina.
Già, perché prima era stato reso noto da altri giornali e riviste italiane, ma non ebbe lo stesso clamore. Undici punti (li trovate qui sotto) che firma Filippo Tommaso Marinetti.
Marinetti è un poeta, un anticonformista. Vive a Parigi e nella Ville Lumiére pubblica i suoi scritti e viene considerato un antagonista di Gabriele D’annunzio.
Quando il Manifesto irrompe sulla scena scandalizza i benpensanti: vuole distruggere la retorica,la cultura borghese, l’accademismo. Al punto 9, inneggia alla guerra, alla forza bruta, al disprezzo delle donne e, ancor più del femminismo, allora agli albori della sua storia. Violenza verbale che trova consenso tra molti intellettuali, soprattutto pittori. L’anno dopo, l’11 febbraio, aderiscono Umberto Boccioni, Carlo Carrà, Luigi Russolo, Gino Severini, Giacomo Balla. Poco dopo si aggiunsero, tra gli altri Fortunato Depero, Mario Sironi e Achille Funi. E, oltre a loro, negli anni successivi aderirono altri artisti. Non solo, tra il 1913 e il 1916 fotografi, musicisti , architetti si riconobbero nei principi formulati da Marinetti.
Anime diverse, sensibili anche all’anarchismo soreliano, che successivamente verranno investite dagli sviluppi della storia: molti fra loro diventeranno interventisti e nazionalisti.
Il mito della velocità, lo sprezzo del pericolo, l’esaltazione degli istinti primordiali, concetti che oggi consideriamo non propriamente corretti. Allora, però, c’era bisogno di rottura, di contenuti forti, c’era bisogno di uscire dall’impasse melenso del laissez faire, dell’immobilismo culturale.
Ad accaparrarsi questa voglia di rivoluzione (distruggere tutto per la rinascita) è il fascismo con cui gli aderenti al Manifesto, primo fra tutti Marinetti, ebbero un rapporto contrastato.
Dopo la Seconda Guerra Mondiale e la caduta di Mussolini, il futurismo venne messo all’indice. Solo dopo una serie di accurati studi storici e critici, che rivalutò le personalità dei singoli aderenti, venne riconosciuto il particolare contributo del movimento alla ricerca artistica internazionale.