11 maggio 1912: il Manifesto Tecnico della Letteratura Futurista

manifesto_tecnico_lett_futIl loro primo Manifesto apparve sul quotidiano francese “Le Figaro” il 20 febbraio del 1909. “Noi vogliamo distruggere i musei, le biblioteche, le accademie d’ogni specie” scriveva Filippo Tommaso Marinetti, esponente del Futurismo italiano, nel suo programma di rivolta contro la cultura del passato e tutti gli istituti del sapere tradizionale. Il suo obiettivo, e quello del suo gruppo d’avanguardia, era quello di proporre un totale azzeramento sul quale erigere una nuova società, una nuova cultura e una nuova filosofia integralmente rinnovate. Velocità, dinamismo, sfrenato attivismo, azione violenta: “Noi vogliamo esaltare il movimento aggressivo, l’insonnia febbrile, il passo di corsa, il salto mortale, lo schiaffo ed il pugno”. Questi i valori su cui fondare la visione del mondo futurista. Di qui, poi, l’adesione all’ideologia nazionalista e militarista, dopo aver respinto ogni forma esistente di organizzazione politico-sindacale, nel nome di un individualismo assoluto e gratuito.

Il futurismo, dal momento della pubblicazione del suo primo Manifesto, avrebbe abbracciato ogni arte, dalla pittura alla cinematografia, dalla scultura alla cucina. E un passo fondamentale fu quello della pubblicazione, l’11 maggio del 1912, del Manifesto tecnico della letteratura futurista che, meglio degli altri, gareggiando con quelli dedicati alla pittura, avrebbe influenzato le generazioni successive. Un programma fortemente contestativo, come fu il Movimento stesso. Colpire le strutture stesse della comunicazione ideologica, costituite appunto dal linguaggio e dalla parola, ora polisemica, evocatrice, allusiva. Eliminare l’impianto concettuale, su cui la letteratura da sempre si era basata. Respingere ogni forma consueta di casualità e consequenzialità, sostituendo, all’impianto logico del pensiero, una forma più sintetica e abbreviata, quella dell’analogia, ovvero “l’amore profondo che collega cose distanti, apparentemente diverse ed ostili”. E tutto ciò si sarebbero dovuto realizzare attraverso alcuni espedienti tecnici, quali l’abolizione dell’avverbio, della punteggiatura, delle categorie di immagini, della letteratura dell'”io”. Per un risultato di “maximux di disordine”, “siccome ogni specie di ordine è fatalmente un prodotto dell’intelligenza cauta e guardinga”.

L’importanza storica del futurismo, però, va cercata nel suo attivismo o dinamismo pratico, nella sua funzione disgregatrice e dissolutrice, che, fra tanti equivoci e confusioni, ebbe pur il merito di far giustizia di una letteratura e di un’arte ridotta a convenzione e accademia. Nell’ambito creativo, invece, rimase, almeno per quanto riguarda la letteratura, scarso di risultati. Le vantate ‘sintesi’ e ‘simultaneità’ liriche futuriste spesso non furono che esperimenti velleitari, e le opere poetiche o drammatiche di Marinetti e dei suoi seguaci appaiono, oggi, soffocate da una retorica che volendo essere antiretorica riesce anche più fastidiosa.

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