di Giacomo Laviosa
Alimento fondamentale nella dieta quotidiana dei lavoratori, il pane costava, in media in Italia, 45 centesimi al chilo. Un operaio guadagnava meno di 2 lire al giorno e con esse doveva mantenere la famiglia solitamente numerosa. Le operaie tessili della Pirelli di Milano guadagnavano, lavorando 11 ore, da 80 centesimi a 1 lira al giorno. Nei primi mesi del 1898 il prezzo del pane era molto aumentato sia per la scarsa produzione di grano, sia per le difficoltà di trasporto di grano americano a causa della guerra tra Stati Uniti e Spagna per Cuba. Il governo Rudinì ridusse il dazio all’importazione da 7,5 a 5 lire al quintale, ma con effetto solo fino al 30 aprile.
La maggiore difficoltà di accedere al sostentamento base, dovuta anche alla notevole disoccupazione e i bassi salari, accelerò il processo che portò alle manifestazioni popolari del maggio 1898.
Molti e competenti politici tentarono di organizzare la protesta in modo pacifico per poter ottenere dal governo riforme in senso democratico, ma il malessere popolare era tale che il movimentismo spontaneo di tendenza anarchica, radicale e socialista prevalse pur non essendoci un progetto rivoluzionario.
Il 7 maggio 1898, venne proclamato uno sciopero generale di protesta contro la violenta repressione delle forze dell’ordine che il giorno precedente aveva portato alla morte di tre manifestanti. La cittadinanza aderì in massa riversandosi nelle strade principali della città. Non solo operai degli stabilimenti della periferia milanese, ma anche tabacchine, macchinisti ferrotramviari, giovani e cittadini non organizzati; non mancavano naturalmente attivisti e agitatori di ispirazione anarchica, repubblicana, socialista.
Nel pomeriggio di quella stessa giornata, il governo, preoccupato che i disordini potessero seguire una deriva rivoluzionaria, decreta per Milano lo stato d’assedio, affidando i pieni poteri al generale Fiorenzo Bava Beccaris che insedia sotto una tenda da campo, in piazza del Duomo, il suo quartier generale.
Entrò in azione, per riportare l’ordine, l’esercito con la cavalleria, il cui effetto venne però vanificato dalle barricate prontamente erette e dalle tegole lanciate dai tetti delle abitazioni. Il passo successivo fu quindi, da parte delle truppe e delle forze di polizia, il ricorso al fuoco contro i manifestanti.
L’ordine fu di sparare ad alzo zero: restano uccise centinaia di persone, e accanto ai morti si potranno contare oltre un migliaio di feriti più o meno gravi. Il numero esatto delle vittime non è mai stato precisato.
Lo stato d’assedio venne mantenuto anche quando i milanesi erano stati ormai ridotti in condizioni di non nuocere. Tutti i giornali antigovernativi subirono la messa al bando e tanti furono gli arrestati anche tra i deputati parlamentari: tra gli altri subirono l’arresto Filippo Turati, Anna Kuliscioff, Leonida Bissolati.
Meno di un mese dopo, il 6 giugno 1898 il Re in persona mandò a Bava Beccaris il seguente telegramma: «Ho preso in esame le proposte delle ricompense presentatemi dal ministro della guerra a favore delle truppe da lei dipendenti e col darvi la mia approvazione fui lieto e orgoglioso di onorare la virtù di disciplina, abnegazione e valore di cui esse offersero mirabile esempio. A lei poi personalmente volli offrire di motu proprio la Croce di Grand’Ufficiale dell’Ordine Militare di Savoia, per rimeritare il grande servizio che Ella rese alle istituzioni ed alla civiltà e perché Le attesti col mio affetto la riconoscenza mia e della patria. Umberto».
Due anni dopo l’anarchico Gaetano Bresci sparò tre rivoltellate al Re colpevole di aver sostenuto e premiato il generale che non si era fatto scrupolo di sparare sulla folla a Milano.
Giacomo Laviosa