Un mistero un po’ meno misterioso. Comunque affascinante e, soprattutto, intrigante. Uno studioso d’arte, tra gli studiosi di arazzi più seri al mondo, Nello Forti Grazzini, lo ha svelato.
Forti Grazzini è stato incaricato di ricostruire la storia di tre manufatti di grande pregio di cui veramente poco si sapeva. Partendo praticamente da zero,o giù di li, ha ricostruito storia e senso di tre antichi arazzi fiamminghi di proprietà dell’Opera Diocesana Madonna della Fiducia, un ente assistenziale fondato dal cardinale Giacomo Lercaro (1891-1976) nel 1960.
L’opera aveva come obiettivo quello di assistere studenti poco abbienti. Proprio per questo fece costruire il collegio universitario Villa San Giacomo. Era il 1966.
E’ in quell’anno che incomincia questa storia: i tre arazzi vengono esposti al pubblico, o almeno agli studenti del collegio, insieme ad altre opere d’arte donate al cardinale da amici e sostenitori. Sì, perché il cardinale Lercaro, arcivescovo di Bologna dal 1952 al 1968, era convinto che l’arte, in tutte le sue espressioni, anche quella non sacra, fosse altamente formativa per la crescita culturale e spirituale dei giovani ospitati nel collegio.

I tre arazzi, infatti, erano considerati rappresentazioni delle “Storie di Alessandro Magno” come scrive il direttore della Fondazione Lercaro, padre Andrea Dall’Asta, nella presentazione del testo di Forti Grazzini
Ma in “Immagini di antichi eroi. Tre arazzi fiamminghi nella raccolta Lercaro “ il professor Forti Grazzini spiega che non è così.
I preziosi manufatti della fondazione Lercaro raccontano altre vicende.
Il primo, il più antico (341×458 centimetri) di lana e seta è di manifattura fiamminga (Enghien o Oudenaarde) è del 1630 circa e appartiene al ciclo “Storie di Marco Furio Camillo”,militare e statista romano vissuto tra il IV e il III secolo avanti Cristo. In particolare, il panno di lana e seta racconta di “Camillo davanti agli abitanti di Sutri e l’assalto alla città”, un episodio tratto da Tito Livio e da Plutarco

“Sertorio e la cerva bianca”, il secondo (350×320 centimetri) appartiene al ciclo di Quinto Sertorio, generale romano della tarda Repubblica, nel I secolo avanti Cristo, mentre l’arazzo così’ intitolato è della seconda metà del XVII, tra il 1660 e il 1670, anch’esso di lana e seta e l’episodio è una libera interpretazione di quanto racconta Plutarco nella “Vita di Sertorio”.

Anche il terzo arazzo appartiene allo stesso ciclo, illustra un altro episodio , quello di “Sartorio concede il bottino ai suoi soldati”. Tre metri e cinquantasette centimetri per tre metri e ventitré centimetri, grande e appassionante come i precedenti, è stato tessuto sempre dalle manifatture di Marco De Vos a Bruxelles nello stesso periodo stabilito da Nello Forti Grazzini.
Come è arrivato l’esperto milanese a queste attribuzioni? L’occhio dello studioso e del conoscitore è stato fondamentale. Confronti, paragoni e, soprattutto la consapevolezza della storia ricca e appassionante del collezionismo bolognese e non solo.
Solo così è stato possibile identificare e ridare vita e nome ai tre splendidi manufatti. Che ora tutti possono ammirare , insieme alle altre opere d’arte moderna della Collezione Lercaro nella nuova sede in via Riva di Reno a Bologna.
Daniela Annaro