di Camilla Mantegazza
Da sempre impegnato nella diffusione dei valori dell’intercultura. Nato a Dakar, in Senegal. In Africa era un pastore, ora, a Milano, è un mediatore culturale capace di raccontare con amara ironia le difficoltà dell’integrazione, base su cui crescere una società. Mohamed Ba, uno tra i tanti immigrati, nonostante in Italia non sia semplice esserlo. Nel 2013 il suo primo libro in italiano “Il tempo dalla mia parte” (San Paolo Edizioni – 12 euro), dedicato alla madre, quella madre lontana ma non dimenticata, che, a differenza di Mohamed, non ha potuto conoscere quell’Occidente che l’ha accolto, inghiottito, cambiato. Prima la Francia, poi l’Italia. Una Francia che accoglie Mohamed come clandestino, una Francia, che, secondo l’autore, si rende priva di responsabilità del suo passato di potenza coloniale, portatrice di distruzione in quella terra che ha obbligato Mohamed all’immigrazione. Volontà di occultare verità scomode, in nome delle quali l’autore sostiene il suo diritto di residenza in Francia, a pieno titolo, senza colpe, senza reati. Senza essere clandestino. La Francia, però, non lo ascolterà fino in fondo. Inizia così il cammino di emarginazione di Mohamed, fatto di paure e di sofferenze che lo indurranno verso un’Italia non migliore di quello scorcio di Occidente che da poco aveva conosciuto. Da Nizza e Milano, in un bagagliaio. Incontrerà solo delusioni, difficoltà e amarezze. A Milano sono troppi, non c’è più spazio per un qualsiasi Mohamed se non per “riempire di numeri le fabbriche”: lo si legge negli occhi della gente. Era il 31 maggio del 2009 quando alla fermata del tram alla 19 in viale Certosa un uomo bianco, italiano, con tutto le carte in regola, gli si avvicina e lo accoltella, nell’indifferenza dei passanti, che scappano, forse impauriti, forse con troppe faccende da sbrigare a casa. L’uomo, come per mettere la propria firma sul corpo inerme di Mohamed, gli sputa addosso, prima di andarsene indisturbato. “Se le pelli fossero state invertite” come avrebbe reagito la gente? Quale sarebbe stato lo spazio mediatico dato a questo –se si può così chiamare- raptus di follia? La piccola e chiusa metropoli del Nord non capisce e rifiuta la sua condizione. Emarginato e ghettizzato, corre verso il nostro Sud, spingendosi sino a Lampedusa, anticamera dell’Inferno. Qui la svolta e la definitiva trasformazione. Diviene testimone e portavoce degli scomparsi in mare, deceduti per fame, per sete, per malattie, per disgrazie in quel Mediterraneo, a volte loro nemico. Mare nostrum, cimitero di molte vittime. Mohamed si carica così di una missione, raccogliendo le voci di coloro che dal mare tentano di far sentire, invano, la propria voce. Quel viaggio, iniziato alla ricerca di Brian e del tamburo magico per invocare la pioggia e interrompere l’arsura della terra da cui era scappato, subisce una grande trasformazione: quel tamburo inizia a battere con un ritmo nuovo, creando quelle percussioni che richiamano in vita anime perdute e che smuovono l’interiorità di ciascun uomo, qualsiasi sia la sua provenienza. Un viaggio di formazione e di ricostruzione identitaria, quello di Mohamed Ba. L’obiettivo: creare una coscienza in tutte quelle realtà –nazionali e non-che, a volte, sembrano desiderare solo la propria cultura, che “crea solitudine e arretratezza culturale”.