Viaggio nell’arte: Monet, Déjeuner sur l’herbe

di Ilaria Pullè, in arte Billy Polly

Intorno alla metà dell’Ottocento, seguendo la tendenza della letteratura francese che si allontana dal romanzo storico in favore di storie reali, i cui personaggi si inseriscono in contesti differenti come la campagna dell’epoca o la stessa Parigi, un gruppo di artisti si distacca dalle logiche accademiche per dare vita a qualcosa di completamente diverso.

Il desiderio di dipingere all’aperto, en plein air, in piena libertà, rifiutando le precedenti rigidità e concentrandosi su di una nuova dimensione artistico raffigurativa, provoca la nascita di un nuovo movimento, le cui innovazioni rappresenteranno una pietra miliare nella storia dell’arte.

Claude Monet, in particolare, il cui dipinto Impression-Soleil levant, di fatto dà il nome all’Impressionismo, privilegiando la stesura del colore rispetto al tradizionale disegno accademico, concentra le proprie ricerche su cromatismi ed effetti di luce, in un progetto atto a cogliere l’attimo anche a scapito dell’abituale descrizione di luoghi e oggetti.

Tra il 1865 ed il 1866, ispirandosi, o rispondendo, all’omonimo, precedente dipinto di Édouard Manet, Monet, socialmente contrapposto al collega, realizza Déjeuner sur l’herbe: un olio su tela attualmente collocato presso il Musée d’Orsay, a Parigi, le cui rocambolesche vicissitudini, tra progetti ambiziosi abbandonati, tagli, e fortunosi recuperi, sono altrettanto note quanto l’opera stessa.

Un omaggio ispirato, o più probabilmente il guanto di sfida lanciato all’indirizzo di un collega, destinato ad assumere l’eventuale qualifica di rivale a seconda delle circostanze.

Rimane il fatto che Monet, nella primavera del 1865, inizia a lavorare ad un’opera, a giudicare dalle prevedibili future dimensioni, realmente monumentale, in parte, probabilmente, per riscattare almeno parzialmente lo stesso Manet dalle dure accuse e critiche subite a causa del suo dipinto presso il Salon des Refusés del 1863.

Un quadro, velato di giorgionesca presenza, che era evidentemente davvero troppo per costume e morale dell’epoca, con quella donna nuda,  amabilmente intenta a conversare con due uomini borghesi elegantemente abbigliati, senza alcun accento di pudore o imbarazzo, e Monet – il quale da artista era in certamente in grado di cogliere l’estrosa originalità di una mentalità non conformata né conformista – propone a propria volta un lavoro dal medesimo titolo tale da riscattare – o bacchettare, difficile dirlo – il suo illustre precedente in modalità convenzionalmente più accettabile, il cui progetto viene tuttavia abbandonato poco prima dell’effettiva esposizione.

E qui entrano in gioco una serie di fattori, di cui alcuni prettamente materiali, in grado di definire il destino di un’opera. È lo stesso Monet, nel 1920, a raccontarne le curiose vicissitudini, affermando di essere stato praticamente costretto ad abbandonare il quadro al padrone di casa, al quale doveva un affitto che non era in grado di pagare.

Claude Monet (1840-1926), Déjeuner sur l’herbe, 1865/1866, olio su tela, 2.48×2.17 m., Parigi – Musée d’Orsay Scatti dalla sfilata di Philosophy di Lorenzo Serafini, Collezione P/E 2021  – Immagini: web

La circostanza appare plausibile, soprattutto conoscendo abitudini e condizioni economiche di taluni appartenenti alla detta corrente pittorica, ma vale la pena porre l’accento sulla verosimile reazione del proprietario nel vedere tramutata l’agognata pigione in un oggetto, evidentemente, ai suoi occhi non particolarmente pregiato, tanto che il suddetto dipinto viene relegato in uno scantinato, di fatto, ad ammuffire.

In effetti, pare che la tela fosse stata consegnata in pegno, ferma restando la mancanza di volontà di chi di dovere di custodirla nel migliore dei modi, e Monet riuscirà a recuperarla solo nel 1884, molti anni più tardi, cercando a quel punto, dopo un’angusta, polverosa reclusione, di salvare il salvabile.

E allora decide di tagliarla, dividendola in tre frammenti – gli unici idonei ad essere conservati, di cui uno risulta tuttora disperso – e la rimaneggia, recuperandone le parti ancora proponibili, oggi visibili presso il Musée d’Orsay, anche se di fatto non la porterà mai a termine.

Abbiamo comunque un’idea di quale dovesse essere l’effetto finale, grazie ad una sorta di bozzetto in scala conservato a Mosca, nel Museo Pushkin: forse un tentativo di consegnare comunque qualcosa al Salon, stante l’impossibilità di terminare il progetto iniziale.

Inoltre, non è escluso che sulla decisione finale di non consegnare l’opera abbiano influito le stesse caratteristiche fisionomiche dei personaggi ritratti, precedentemente affrontati in un determinato periodo della propria vita, e obiettivamente in seguito facilmente cambiati. A questo proposito, qualcuno ha fatto notare come il protagonista iniziale fosse simile all’amico Frédéric Bazille, che si dice avesse posato assieme alla compagna del pittore Camille Doncieux, per poi mutare in un personaggio di diverse sembianze, forse più simile a Gustave Courbet, del quale si rammentano voci di critica all’opera che potrebbero, in qualche modo, aver indotto Monet ad importanti ripensamenti.

Resta l’effetto di una colazione sull’erba in un’ottica medio-borghese, i cui protagonisti distinti, ed elegantemente abbigliati, onorano vettovaglie raffinatamente messe in evidenza.

Un soggetto che la moda rievocherà numerose volte, tra le quali, una delle più riuscite, quella della collezione PrimaveraEstate 2021 di Philosophy di Lorenzo Serafini, la cui sfilata, a Milano, presso la Vigna di Leonardo – il vigneto che Ludovico il Moro dona a Leonardo nel 1498, e che rappresenta tuttora uno dei luoghi più incredibili ed affascinanti della città – si snoda attraverso un contesto bucolico, emblema di un ambito ritorno alla natura: una vera e propria celebrazione artistica di rinascita, tra leggerezza e romanticismo…

 

 

 

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