di Luigi Losa
Don Bruno, detto un po’ brutalmente, non le pare che il Natale sia diventato ormai ‘pagano’?
“Già anni addietro il cardinale Giacomo Biffi aveva ben evidenziato che facciamo festa ma non sappiamo più chi è il festeggiato – risponde senza esitazioni mons. Bruno Molinari, prevosto di Seregno -. Ora è chiaro che chi frequenta le chiese sa bene cos’è il Natale ma la stragrande maggioranza della gente lo vive ormai senza capire e addirittura senza sapere di cosa si tratta. Paradossalmente però tutto il mondo della pubblicità e del commercio si appropria persino di termini e simboli propriamente liturgici solo ed esclusivamente per vendere.
Siamo ormai alla secolarizzazione, alla laicizzazione più sfrenata e per sopraggiunta sentiamo lamentarsi che non ci sono più i ‘valori’, quando poi andando a visitare le case non si aprono più le porte a quella che era una tradizione diffusa, un gesto di augurio, la benedizione natalizia (secondo il rito ambrosiano, ndr.)”.
Ma non è che anche un po’ colpa nostra l’aver lasciato andare il Natale alla deriva, in nome di un buonismo, di un’apertura ai lontani, nella speranza che possano cogliere qualche segnale di fede?
“Sicuramente, ma credo che il problema sia più serio e profondo. Oggi dobbiamo metterci in mente che dobbiamo tornare ad evangelizzare ovvero ad annunciare il Vangelo a partire dalla ‘buona notizia, dal Natale appunto. Ma, innanzitutto cos’è per noi il Natale? Non è che ci siamo un po’ appiattiti sulle consuetudini, sulle tradizioni, sulle devozioni, perdendo di vista il cuore della nostra fede, il Vangelo per l’appunto, dal mistero dell’incarnazione a quello della resurrezione ma anche della famiglia, della vocazione giovanile non solo al sacerdozio ma a vivere da cristiani laddove ci troviamo a confronto con il mondo?
Credo che a forza di non offendere sensibilità, convinzioni, religioni diverse abbiamo finito per annacquare il nostro messaggio, che ha ancora molto da dire e da dare. Per tornare al Natale perchè non si può fare un canto religioso o il presepe a scuola quando poi questa fa vacanza per quindici giorni proprio per questa festa?”
Ma non c’è anche qualcosa di più profondo in questa indifferenza, in questa avversione, in questi rifiuti nei confronti della Chiesa?
“Sicuramente c’è un disagio che è anzitutto personale, motivato da ragioni diverse, anche dalla stessa paura ad aprire la porta rispetto a tanti malintenzionati, e questo vale soprattutto per gli anziani. Ma indubbiamente c’è anche delusione a volte per taluni comportamenti della Chiesa non proprio esemplari”.
Ci sono però anche coloro che pure frequentano ma che non condividono le posizioni e le stesse azioni della Chiesa e anche del Papa nei confronti dei migranti, dei profughi, persino di quanti vogliono aiutare i più poveri nei loro Paesi.
“E’ evidente che siamo di fronte ad una involuzione del pensiero cristiano, un ripiegamento verso forme di chiusura, egoismo, estraneità alla nostra tradizione di solidarietà, quando non proprio al nostro modo di essere credenti. E questo è molto triste. C’è il rischio che si muoia di individualismo.
C’è una morte lenta del pensiero occidentale tout court che si vede in tante scelte della nostra società, dalla denatalità al timore del diverso passando per tutte le paure che vengono agitate in ogni direzione. Poi a guardar bene, anche nella nostra Seregno, per fortuna non è che muore tutto, ci mancherebbe, ci sono tante belle realtà sia del mondo cattolico ma anche della società civile che danno testimonianza di solidarietà in tante e svariate forme”.
Ma si tratta di puro egoismo oppure di paura di perdere qualcosa che pure si è conquistato con fatica?
“Indubbiamente il timore di veder messo in pericolo un benessere a cui si è arrivati, anche a motivo della crisi economica, esiste. Ma se prendiamo il tema del lavoro non si può non notare che si mugugna contro gli stranieri che vengono a ‘rubare’ posti che però nessuno vuole fare. L’esempio più lampante è quello delle badanti che ora vede qualcuno anche adattarsi ma non certo alle condizioni offerte agli stranieri”.
A fronte di tutto ciò non è che la comunità cristiana in quanto tale non riesce a reagire magari anche perchè frenata dal timore di divisioni, di contrapposizioni al suo interno?
“In questo senso io vedo come provvidenziale l’esempio di papa Francesco che non ha timore di scandalizzare i benpensanti, di scomodare quelli che dicono ‘ma no, ma va bene così, perchè agitarsi, cambiare?’. Agisce in modo politicamente scorretto, molto politicamente scorretto e in tal senso ci dà una scossa che dovremmo anzi avvertire di più proprio per evitare questa forma di acquiescenza che poi finisce col diventare connivenza. Perchè se continuo ad accettare tutto, poi quando sono all’esito finale di un percorso di individualismo, di egoismo collettivo, sono di fatto complice di questo stato di cose”.
Con la conseguenza di diventare come cristiani ininfluenti e di fatto inutili. Anche laddove c’è un impegno che diventa però un’etichetta, per cui la carità è riservata ai cristiani ma senza che ne vadano alle cause, che cerchino di rimuoverle. E’ questo il destino che è riservato alla Chiesa?
“Questa deriva è già evidente in altre nazioni dell’Europa, dalla Francia ai Paesi del Nord dove la marginalità della comunità cristiana è un dato di fatto: è bene che esista ma che al contempo non turbi la pace sociale. Questo è il risultato della secolarizzazione, della scristianizzazione del nostro mondo occidentale. Il problema è anche però quello di una nostra afasia, di una incapacità addirittura a ‘dire’ qual è la ‘buona notizia’ oppure a farla cogliere”.
In una situazione come questa non è che incida o quantomeno influisca anche il fatto che i preti si vedano di meno, al di là di un problema di numero: dalle visite alle famiglie per Natale ai funerali senza più corteo e accompagnamento al cimitero dei defunti e in altre circostanze i sacerdoti sembrano sempre più estranei alla vita quotidiana della gente.
“Intanto c’è da considerare che rispetto a certe forme di presenza dei preti sono intervenuti non pochi cambiamenti di tipo sociale. Nel caso dei defunti ormai sono sempre meno quelli che restano a casa in attesa del funerale mentre sono sempre di più quelli che restano all’hospice o in ospedale oppure vengono ospitati nella casa funeraria così come è in vertiginoso aumento il ricorso alla cremazione. Tutto ciò sta a significare che è in atto un tumultuoso cambiamento di mentalità non solo rispetto al tema della morte.
I sacerdoti faticano a rispondervi non per cattiva volontà ma per impossibilità, dovuta senza dubbio ad una loro diminuzione per molteplici cause, a soddisfare le tante esigenze che pure una comunità presenta anche in forme nuove. Sempre più fondamentale appare in tal senso la condivisione che i laici devono mettere in atto in diversi ambiti anche pastorali senza trincerarsi dietro falsi alibi”.
In questa grande confusione di cui in fondo proprio l’esasperazione del Natale in chiave consumistica ed esteriore pare essere la cartina di tornasole, non c’è che in fondo si sta perdendo quella che è la stessa natura degli uomini e delle donne di questo tempo, vale a dire quell’umanità che proprio paradossalmente la nascita di Gesù vuole rappresentare, testimoniare e annunciare?
“Anni addietro, quand’ero vicario nella zona di Lecco mi aveva colpito molto quel che un giovane cooperante di Bulciago (la mamma era il sindaco del paese) rimasto ucciso in Palestina aveva come suo primo riferimento in quel conflitto che richiama molto le terre della nascita di Gesù: ‘restiamo umani’ era quella sua sorta di motto di vita. Ecco sono d’accordo che oggi la prima cosa da dire a proposito del Natale così come della Pasqua è proprio ‘restiamo umani’ come lo è stato Gesù nella grotta di Betlemme e sulla croce.
Perchè oggi questa deriva non è più solo una questione di pensiero, di corrente o teoria intellettuale ma la si riscontra nella vita di tutti i giorni. Pensiamo soltanto ai femminicidi: si uccide in nome dell’amore, un vero stravolgimento logico ma soprattutto umano.
Benedetto XVI ammoniva che gli uomini pensano di vivere come se Dio non esistesse. Non è in fondo questa la causa di questa perdita del senso dell’umano?
“Indubbiamente papa Ratinger aveva una visione lucidissima della situazione soprattutto quando sottolineava come la società stesse smarrendo l’orizzonte ultimo della sua stessa esistenza. E anche noi preti non parliamo più dei ‘novissimi’ (morte, giudizio, inferno e paradiso secondo la dottrina cattolica, ndr.) mentre invece dovremmo insistere a ricordare e a confidare in una speranza che vada un po’ più in là della nostra stessa vita”.
Finiamo con papa Francesco e il giubileo: cosa ci resta?
“La consapevolezza della misericordia infinita di Dio. Se ce ne rendessimo conto anche il Natale sarebbe per davvero più umano come quel Gesù bambino ci ricorda ogni anno”.
Fotografia da ilcittadinomb.it