Monza, 1946 – La donna qualunque

2 giugno 1946. Data storica e oggi festa nazionale. Gli italiani sono chiamati a scegliere con referendum  tra monarchia e repubblica. Contestualmente si tengono le elezioni per l’Assemblea Costituente. Sono fatti noti.

Raramente però, a margine delle celebrazioni annuali dedicate all’esito del referendum, si ricorda che quelle del 2 giugno 1946 furono anche le prime elezioni nazionali in cui le donne italiane poterono esercitare il diritto di voto.

L’episodio con cui oggi vogliamo ricordarlo è tratto dalla cronaca di Monza.

A dire il vero, per le donne monzesi era già la seconda volta alle urne. Nell’aprile 1946 si erano tenute in città le elezioni amministrative secondo il Decreto Legislativo Luogotenenziale del 1° febbraio 1945, che prevedeva il suffragio femminile.

Due mesi dopo, il  2 giugno, proprio una donna fu protagonista, al seggio elettorale, di un episodio curioso riportato dalle pagine della stampa locale: “Il fattaccio dell’Ottava sezione”, come lo definì il Corriere di Monza:

“Una giovane e bella donna”, recita l’articolo pubblicato il 7 giugno 1946, “entra nell’aula e s’appresta alla votazione. Il presidente, fine buongustaio, accentua la normale gentilezza ed offre le due schede. La cabina raccoglie l’intimo segreto. Ma ecco uno strillo, indignato: la scheda, ansima la donna, non reca il contrassegno dell’Uomo Qualunque! (…) L’elettrice se ne torna a casa dal buon genitore che – ironia del caso – è proprio il rappresentante dell’Uomo Qualunque di Monza. Il quale, venuto a conoscenza della cosa, corre al telegrafo e comunica urgentemente al Presidente del Consiglio De Gasperi e al Ministro degli Interni Romita l’illegale inganno che si sta perpetrando in quel di Monza.  Monza sta per entrare nella cronaca nazionale…”

Alla fine il presunto ‘broglio’ si rivelerà un semplice disguido tipografico: tra le schede inviate all’ottava sezione di  Monza ne è finita una destinata a un collegio in Veneto in cui il Partito dell’Uomo Qualunque non partecipa.

Ma la cronaca, vivacissima, dell’episodio offre oggi una testimonianza esemplare sul modo in cui nel 1946 dovevano essere viste, ed erano raccontate, le donne alle prese con il voto.

La donna in questione, scrive l’articolista, è “giovane e bella”. Il presidente si mostra con lei più gentile del solito (perché è giovane? perché è bella? perché è una donna? perché  mai avrebbe pensato di doverle consegnare una scheda elettorale?). Poi la donna strilla, ansima, viene descritta come se fosse sul punto di svenire (dopotutto, è una donna…). Alla fine, corre a raccontare tutto al papà.

Il papà. Lui sì che se ne intende, da uomo politico. Anzi Uomo Qualunque, se si considera il Partito di cui è rappresentante. Ma soprattutto Uomo, che in quanto tale entra in azione: mobilita addirittura il presidente del consiglio in persona.

La protagonista dell’episodio è invece, si potrebbe dire, una Donna Qualunque. Vota il partito di papà, ma di politica deve capire ben poco. Questo almeno è ciò che l’articolo fa intendere. Del resto, l’opinione doveva essere diffusa abbastanza trasversalmente tra gli ‘uomini’ politici e gli elettori dei vari partiti.

Dopotutto, solo a settembre del 1945 ci si accorge -e si corregge- dell’errore contenuto nel decreto sul nuovo sistema di voto emanato a febbraio: alle donne era stato dato sì diritto di voto, ma non erano state dichiarate eleggibili.

Invece, nel 1946 sono  21 le donne elette in seno all’Assemblea Costituente: nove rappresentanti  della Dc, due del Psiup, nove del Pci, una del partito dell’Uomo qualunque. Ventuno donne su 556 membri dell’Assemblea sono pochine. Ma, comunque, un inizio.

E ci piace pensare che la Donna Qualunque di Monza abbia votato per una di loro.

 

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