Tra le terapie potenziali innovative che la ricerca biomedica sta sperimentando contro la malattia di Alzheimer, si annoverano le nanotecnologie; infatti nanoparticelle aventi le dimensioni comprese tra 0-100 nanometri (nm) cioè del miliardesimo di metro, sono state utilizzate per combattere questa devastante patologia. Per dare un’idea dell’ordine di grandezza, le celle elementari dei cristalli hanno lunghezze dell’ordine di un nanometro; la doppia elica del DNA ha un diametro di circa 2 nm.
Parliamo del progetto NAD che significa nanoparticelle per la terapia e la diagnosi dell’Alzheimer, finanziato con oltre 14 milioni di euro e coordinato dai ricercatori dell’Università di Milano – Bicocca. I ricercatori, che hanno pubblicato il lavoro sulla rivista Journal of Neuroscience, hanno utilizzato i nanoliposomi ingegnerizzati denominati Amyposomes, con lo scopo di disgregare le placche di beta-amiloide che si accumulano nel cervello dei malati e che causano i sintomi del deterioramento cognitivo.
Gli amyposomi una volta iniettati nel circolo ematico, sono in grado di superare la barriera emato-encefalica, la fitta rete di cellule che protegge il cervello. Qui le nanoparticelle attaccano i depositi di proteina beta amiloide riducendoli a piccoli aggregati solubili che, una volta disciolti nel sangue, non sono più pericolosi per l’organismo e vengono smaltiti attraverso la milza ed il fegato.
Il trattamento con i nanoliposomi è stato effettuato solo nei modelli animali di malattia. I topi hanno mostrato un recupero delle funzioni cognitive che è stato verificato e misurato mediante un test specifico di riconoscimento degli oggetti. Il lavoro ha dimostrato di frenare la progressione della malattia, ma i ricercatori ora vogliono comprendere come prevenire l’insorgenza della stessa.
Roberto Dominici