Nixon visita la Repubblica Popolare Cinese

media-public.pmm.rtsi.chdi Camilla Mantegazza

“Il premier cinese Ciu En Lai e il dottor Henry Kissinger hanno tenuto conversazioni dal 9 all’11 luglio. Il premier Ciu En Lai in nome della Repubblica Popolare Cinese ha invitato il Presidente degli Stati Uniti a visitare la Cina entro il maggio 1972″ annunciava televisivamente Richard Nixon nel luglio del 1971.

“Only Nixon could go to China” divenne, alla fine, un proverbio. Sì, solo Nixon avrebbe potuto compiere una svolta di tale portata storica, grazie alla sua connotazione fortemente conservatrice. Se fosse stato un repubblicano, nessuno avrebbe mai accettato un tale avvicinamento verso il mostruoso gigante comunista. Il gesto sarebbe stato considerato azzardato, fuori luogo, pericoloso. Nixon no, Nixon poteva farlo. E così, il 21 febbraio del 1972, Richard Nixon fu il primo presidente a visitare la Repubblica Popolare Cinese, dopo che il Partito Comunista di Mao Tse-Tung aveva, nel 1949, conquistato definitivamente il potere, senza nessun riconoscimento da parte degli USA stessi. Ruppe così quel silenzio diplomatico durante oltre vent’anni.

L’opportunità del viaggio era stata a lungo sostenuta da Henry Kissinger, all’epoca consigliere per la Sicurezza Nazionale nonché braccio destro, consulente, apologista, amico e portavoce del presidente, che nel luglio del 1971 si era recato segretamente in Cina per organizzare il futuro e storico incontro. Il capolavoro di Kissinger. Tutto era iniziato nella primavera di quello stesso anno, quando una squadra di ping-pong americana era stata ospitata per la prima volta per un torneo in Cina. Nacque così quella che venne definita la “diplomazia del ping-pong”: “era l’inizio di un nuovo corso vantaggiose delle nostre relazioni internazionali” scriverà Kissinger, più tardi, nelle sue memorie.

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Ad ottobre, la Cina di Mao veniva poi ammessa all’ONU, maturando dunque, a piccoli passi, il percorso di avvicinamento al pilastro portante di quel capitalismo a cui la filosofia maoista aveva sempre fatto la guerra.

Richard Nixon, Chou En-lai
E il 21 febbraio, Nixon, con la moglie Pat, tocca il suolo cinese, dando avvio alla “settimana che cambiò il mondo”, secondo un’espressione nixoniana. Pechino aveva bisogno di rompere l’isolamento nel quale il paese era chiuso, per controbilanciare il peso della minaccia sovietica che incombeva sui suoi confini meridionali. Washington, dal canto suo, voleva liberarsi definitivamente della logica del bipolarismo, sfruttando a proprio favore la rivalità cino-sovietica. L’obiettivo era stato centrato.

Dopo la visita, nel maggio di quello stesso anno Kissinger volò a Mosca per la firma del Salt 1, primo accordo per la limitazione delle armi strategiche. Tre anni dopo, i negoziati di Helsinki e l’avvio –o il proseguimento- della distensione tra i due blocchi. Intanto, gli USA aveva riconosciuto l’indivisibilità della Cina, ritirando le truppe di forza in stanza a Taiwan. In cambio, la Cina proclamava ufficiosamente la controparte statunitense padrona del Pacifico. L’America, ancora una volta, aveva vinto.

 

 

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